Giovedì della settimana della XI domenica dopo Pentecoste
2Cr 30, 1-5. 10-13. 15-23. 26-27; Sal 20 (21); Lc 12, 13-21
In quei giorni. Ezechia mandò messaggeri per tutto Israele e Giuda e scrisse anche lettere a Èfraim e a Manasse per convocare tutti nel tempio del Signore a Gerusalemme, a celebrare la Pasqua per il Signore, Dio d’Israele. Il re, i capi e tutta l’assemblea di Gerusalemme decisero di celebrare la Pasqua nel secondo mese. Infatti non avevano potuto celebrarla nel tempo fissato, perché i sacerdoti non si erano santificati in numero sufficiente e il popolo non si era radunato a Gerusalemme. (2Cr 30,1-3)
La ricostruzione del regno che avviene grazie a Ezechia ha un momento fondamentale nella nuova celebrazione della Pasqua. Il popolo è veramente sé stesso nella misura in cui segue la legge che chiede di fare memoria dell’evento della liberazione. La possibilità di celebrare quell’evento non lega semplicemente al passato, ma consente di riconoscere l’origine della propria esistenza, per spingere a costruire un futuro adeguato alla promessa che è lì racchiusa.
Ogni cristiano vive nel tempo secondo la stessa dinamica: tornare a celebrare l’evento della salvezza, facendo memoria della croce di Gesù, è sorgente di vita perché porta alla responsabilità di vivere ogni giorno a partire dalla sua presenza. Proprio la possibilità di celebrare è un dono, non scontato, da custodire e rendere sempre più autentico momento di vita.
Preghiamo
Gli vieni incontro con larghe benedizioni,
gli poni sul capo una corona di oro puro.
Vita ti ha chiesto, a lui l’hai concessa,
lunghi giorni in eterno, per sempre.
Dal Salmo 20 (21)