VII Domenica dopo Pentecoste
Gs 24, 1-2a. 15b-27; Sal 104 (105); 1Ts 1, 2-10; Gv 6, 59-69
Giosuè disse al popolo: «Voi non potete servire il Signore, perché è un Dio santo, è un Dio geloso; egli non perdonerà le vostre trasgressioni e i vostri peccati. Se abbandonerete il Signore e servirete dèi stranieri, egli vi si volterà contro e, dopo avervi fatto tanto bene, vi farà del male e vi annienterà». Il popolo rispose a Giosuè: «No! Noi serviremo il Signore». Giosuè disse allora al popolo: «Voi siete testimoni contro voi stessi, che vi siete scelti il Signore per servirlo!». Risposero: «Siamo testimoni!». (Gs 24,19-22)
L’alleanza del Signore con il popolo di Israele non è un’imposizione o la condanna a portare un peso troppo limitante, ma il dono che il Signore offre perché ciascuno abbia una vita piena. Questo però non significa che quell’alleanza corrisponda alla rinuncia di ogni responsabilità, oppure a ritenere che ogni azione sia consentita, quale che sia il suo valore. Al contrario, proprio perché si tratta del dono che consente la libertà per sempre, essa implica la libertà che si gioca scegliendo per il bene.
Quella alleanza viene portata a compimento da Gesù: il dono è totale, in quanto è la croce di Gesù che dona la salvezza per sempre, ma anche la pienezza della libertà che è ricevuta fa scaturire in ciascuno il desiderio di vivere secondo una misura ugualmente profonda.
Preghiamo
È lui il Signore, nostro Dio:
su tutta la terra i suoi giudizi.
Si è sempre ricordato della sua alleanza,
parola data per mille generazioni,
dell’alleanza stabilita con Abramo
e del suo giuramento a Isacco.
Dal Salmo 104 (105)