Sabato della II settimana di Avvento

Ez 7,1.15-27; Sal 101 (102); Eb 8,6-10; Mt 12,43-50

«Qualcuno gli disse: “Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e cercano di parlarti”. Ed egli, rispondendo a chi gli parlava, disse: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli!”». Mt 12,47-49

Capita troppo spesso di sentirsi soli e abbandonati da chi pensiamo di amare e, al contrario, di non riuscire a percepire l’affetto di tutti quelli che ci stanno attorno e con cui condividiamo la giornata. In questo passo di Vangelo Gesù ci insegna ancora una volta ad aprirci verso l’altro tendendogli la mano e chiamandolo fratello. Infatti non c’è gesto più iconico per rappresentare la carità che tendere la propria mano per sentire il prossimo ancora più vicino. Bisognerebbe dunque farsi trascinare sempre di più dalle nostre mani, strumento primo di comunicazione e propensione, e così come Gesù, anche noi tenderle verso fratelli e sorelle che ancora non pensiamo di conoscere ma con cui viviamo la quotidianità, così da sentirsi tutti più amati e uniti nella fraternità. «Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli» (Martin Luther King).

Preghiamo

O Gesù, con le tue mani,
hai innalzato il povero e l’escluso,
non hai gettato la pietra ma condiviso il pane,
hai portato la croce…
O Dio, insegnaci a condividere di più, perché
le nostre mani sono il prolungamento del cuore
e diventano le tue mani,
quelle che danno vita.

Jean-Luc Lefrançois, Le mani della preghiera

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