VIII Domenica dopo Pentecoste
1Sam 8, 1-22a; Sal 88 (89); 1Tm 2, 1-8; Mt 22, 15-22
Gli dissero: «Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non camminano sulle tue orme. Stabilisci quindi per noi un re che sia nostro giudice, come avviene per tutti i popoli». Agli occhi di Samuele la proposta dispiacque, perché avevano detto: «Dacci un re che sia nostro giudice». Perciò Samuele pregò il Signore. Il Signore disse a Samuele: «Ascolta la voce del popolo, qualunque cosa ti dicano, perché non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di loro. Come hanno fatto dal giorno in cui li ho fatti salire dall’Egitto fino ad oggi, abbandonando me per seguire altri dèi, così stanno facendo anche a te. Ascolta pure la loro richiesta, però ammoniscili chiaramente e annuncia loro il diritto del re che regnerà su di loro». (1Sam 8,5-9)
La richiesta di un re da parte del popolo è segno della sfiducia nei confronti del Signore: fino a quel momento avevano potuto stabilirsi nella terra promessa e prosperare senza un’istituzione così forte, al contrario ora ritengono che la loro vita dipenda da una struttura totalmente umana.
Questa parola non vuole contrapporre in modo del tutto ambiguo le istituzioni umane rispetto alla guida da parte del Signore, come se oggi fosse auspicabile un intervento religioso diretto nell’ambito sociale e politico. Al contrario, questa parola interpella ciascuno: troppo spesso si ha lo sguardo troppo corto, si affidano a persone umane ruoli e poteri che in realtà sarebbero solo del Signore. La nostra storia è nelle sue mani e tutti, fino ai rappresentanti delle istituzioni (di qualunque tipo), possono agire bene quando riconoscono che il loro potere è limitato, tanto più efficace quando si tratta di un servizio per un bene comune del quale non si può disporre.
Preghiamo
Perché tu sei lo splendore della sua forza
e con il tuo favore innalzi la nostra fronte.
Perché del Signore è il nostro scudo,
il nostro re, del Santo d’Israele.
Dal Salmo 88 (89)