V Domenica di Pasqua
At 4,32-37; Sal 132; 1Cor 12,31-13,8a; Gv 13,31b-35
Desiderate invece intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. (1Cor 12,31-13,1)
Nell’attesa del compiersi definitivo del tempo del Signore, nell’affascinante e impegnativo vivere questa storia benedetta e malata, cosa dobbiamo impegnarci a fare? Qual è la via più importante e utile per abitare la promessa di risurrezione che Gesù ci ha mostrato? Paolo è molto chiaro: sono tanti i carismi “grandi”, ma la “via sublime” è quella dell’amore. È l’amore che avvicina al regno di Dio. Solo l’amore custodisce integra la possibilità del futuro e del senso. Se davvero «la carità non avrà mai fine» (v. 8a), cos’altro mai dovremmo impegnarci a cercare? Abitiamo tempi in cui la grandezza è misurata troppo spesso da parametri banali che subito scompaiono e si perdono nell’insignificanza: è un mondo povero quello in cui diminuisce la cura reciproca e aumentano disparità e violenza; è un mondo lontano dal sogno di Dio. Se abbiamo capito a cosa conduce la promessa di Dio, questo è il tempo in cui spendersi con più slancio e passione nell’amore. Non altro, non così prezioso, per noi e per il mondo.
Preghiamo
O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità
perché possano ritornare sulla retta via, concedi a quanti si
onorano del nome cristiano di fuggire ogni incoerenza e di
vivere sempre secondo la loro dignità di creature redente.
(dalla liturgia)