Giovedì della settimana della XIII Domenica dopo Pentecoste

Esd 10, 1-8; Sal 68 (69); Lc 14, 1-6

Allora Secania, figlio di Iechièl, uno dei figli di Elam, prese la parola e disse a Esdra: «Abbiamo prevaricato contro il nostro Dio, sposando donne straniere, prese dalle popolazioni del luogo. Orbene, a questo riguardo c’è ancora una speranza per Israele. Facciamo dunque un patto con il nostro Dio, impegnandoci a rimandare tutte le donne e i figli nati da loro, secondo la volontà del mio signore e rispettando il comando del nostro Dio. Si farà secondo la legge! Àlzati, perché a te è affidato questo compito. Noi saremo con te; sii forte e mettiti all’opera!». (Esd 10,2-4)

Il ritorno a Gerusalemme, la possibilità che la storia di alleanza con il Signore continui è anche occasione di verifica del passato: non è possibile costruire un avvenire stabile se non vengono riconsiderate le fondamenta che lo reggono. Per questo Israele riconosce che il proprio peccato è consistito nell’abbandono del Signore, preferendo legarsi agli dei stranieri, mescolandosi con altri popoli.
Quel peccato non ha però l’ultima parola, ma riconoscerlo è il primo passo per cambiare costruendo con fatica un futuro differente, che può iniziare dando un taglio netto a quanto fatto in precedenza.
Questa situazione chiede impegno e fatica, ma è anche liberante e costruttiva, ogni giorno ciascuno può considerare il proprio peccato per abbandonarlo e iniziare una vita nuova.

Preghiamo

Perché mi divora lo zelo per la tua casa,
gli insulti di chi ti insulta ricadono su di me.
Piangevo su di me nel digiuno,
ma sono stato insultato.

dal Salmo 68 (69)

 

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