IX Domenica dopo Pentecoste

2Sam 6, 12b-22; Sal 131 (132); 1Cor 1, 25-31; Mc 8, 34-38

Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Davide era cinto di un efod di lino. Così Davide e tutta la casa d’Israele facevano salire l’arca del Signore con grida e al suono del corno. Quando l’arca del Signore entrò nella Città di Davide, Mical, figlia di Saul, guardando dalla finestra vide il re Davide che saltava e danzava dinanzi al Signore e lo disprezzò in cuor suo. (2Sam 6,14-16)

Il momento in cui l’arca dell’alleanza viene posta al centro della città santa è fondamentale, Israele è un popolo unito perché salvato dal Signore, non per meriti propri o per l’abilità dei governanti. Davide capisce di essere portavoce del Signore, la sua importanza deriva solo da Lui e non sarebbe tale se si basasse sulle proprie forze. Per questo motivo rende un omaggio incondizionato all’arca, senza temere che il suo ruolo ne risulti sminuito.
Ciascuno può relazionarsi così al Signore, vivendo con semplicità perché attirato da Lui senza essere annientato. Anzi, proprio Lui dona vita nuova, un’energia così abbondante da esplodere, come nel caso di Davide, nella gioia della danza, un’azione compiuta senza scopi ulteriori, espressione della felicità di chi scopre la possibilità di essere in relazione con Dio.

Preghiamo

Sorgi, Signore, verso il luogo del tuo riposo,
tu e l’arca della tua potenza.
I tuoi sacerdoti si rivestano di giustizia
ed esultino i tuoi fedeli.

Dal Salmo 131 (132)

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