Martedì della settimana della VI Domenica dopo Pentecoste
Gs 3, 7-17; Sal 113A (114); Lc 8, 40-42a. 49-56
Appena i portatori dell’arca furono arrivati al Giordano e i piedi dei sacerdoti che portavano l’arca si immersero al limite delle acque – il Giordano infatti è colmo fino alle sponde durante tutto il tempo della mietitura –, le acque che scorrevano da monte si fermarono e si levarono come un solo argine molto lungo a partire da Adam, la città che è dalla parte di Sartàn. Le acque che scorrevano verso il mare dell’Araba, il Mar Morto, si staccarono completamente. Così il popolo attraversò di fronte a Gerico. (Gs 3,15-16)
Il cammino di Israele prosegue, arrivando a un momento decisivo. In quel la novità dell’ingresso nella terra coincide con la memoria dell’evento originario da cui tutto è iniziato, la liberazione dell’Egitto. Infatti, il passaggio del Giordano avviene in modo analogo a quello del Mar Rosso, tramite il ritrarsi delle acque, segno della benevolenza del Signore che guida e sostiene il suo popolo. Il passaggio del Giordano avviene però mettendo in luce la centralità dell’arca dell’alleanza che contiene la Legge, il dono ricevuto per poter vivere pienamente nella terra nella quale si sta per entrare.
Quel passaggio diventa paradigma di ogni passaggio umano: ciascuno può vivere ogni giorno facendo esperienza delle novità che il Signore offre, non solo attendendo il futuro sperando in un miglioramento della propria condizione, ma come occasione per vivere pienamente ciò che il Signore ha già promesso e fatto accadere.
Preghiamo
Il mare vide e si ritrasse,
il Giordano si volse indietro.
Che hai tu, mare, per fuggire,
e tu, Giordano, per volgerti indietro?
dal Salmo 113A (114)