Martedì della settimana della II Domenica dopo la Dedicazione
Ap 11, 1-12; Sal 75 (76); Gv 12, 44-50
Uomini di ogni popolo, tribù, lingua e nazione vedono i loro cadaveri [dei due testimoni] per tre giorni e mezzo e non permettono che i loro cadaveri vengano deposti in un sepolcro. Gli abitanti della terra fanno festa su di loro, si rallegrano e si scambiano doni, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra. Ma dopo tre giorni e mezzo un soffio di vita che veniva da Dio entrò in essi e si alzarono in piedi, con grande terrore di quelli che stavano a guardarli. Allora udirono un grido possente dal cielo che diceva loro: «Salite quassù» e salirono al cielo in una nube, mentre i loro nemici li guardavano. (Ap 11,9-12)
Giovanni descrive due testimoni senza identificarli con precisione: in ogni epoca e in ogni luogo si può riconoscere nel loro ritratto quello dei veri testimoni di Cristo. Si compie violenza per rifiutare la loro parola, il loro annuncio non vuole essere ascoltato; una volta morti il loro cadavere è addirittura profanato, affinché non ne rimanga neppure il ricordo. Eppure, nessuna di queste azioni è efficace, la vita dei testimoni è annuncio del vangelo: Giovanni descrive le loro caratteristiche come di coloro che parlano di Gesù con la stessa vita, conservando saldo il legame a Lui, vivendo come Lui ha fatto. Non è possibile legarsi a Gesù senza condividere il culmine della sua vita, la morte offerta per amore.
Facendo pienamente propria la forma di colui che testimonia, il testimone arriva fino al compimento, fino a salire – come Gesù – al Padre. Il libro dell’apocalisse rivela la forma propria di tutti i cristiani, sta a ciascuno usare questa descrizione come criterio per giudicare se la propria esistenza è così radicale, oppure si limita alla forma.
Preghiamo con il Salmo
Dal cielo hai fatto udire la sentenza:
sbigottita tace la terra,
quando Dio si alza per giudicare,
per salvare tutti i poveri della terra.