Ger 11,1-8; Sal 77 (78); Zc 10,1-5; Mt 21,10-17

«Gesù entrò nel tempio e scacciò tutti quelli che nel tempio vendevano e compravano; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e disse loro: “Sta scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera. Voi invece ne fate un covo di ladri”. Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì». (Mt 21,12-14)

Gesù ci spiega il suo operato, citando Isaia e Geremia, opponendo la logica dell’interesse di mercato alla ragione propriamente religiosa e spirituale che aiuta a spiegare l’esistenza del tempio come “casa di preghiera”. Una casa di preghiera la si abita con criteri ben diversi da quelli che vengono applicati sulla piazza del mercato. Gesù ci ricorda che Dio si propone a noi, stando nel tempio, con la libertà e la gratuità propria dell’amore, e per questo chiede a noi di rispondergli continuando a stare nel tempio non per applicare un criterio retributivo, ma nella gratuità dell’amore per lui.
Importante per noi oggi anche il richiamo a un gesto messianico che Gesù compie. Egli vuole invitarci a comprendere come centrale non sia il culto fatto di esteriorità ma quello che viene fatto col cuore e che giunge a comprendere tutta la vita della persona credente.

Preghiamo
Signore, tu sai che il mondo in cui vivo tenta di distogliermi da te. Insegnami a vigilare perché il mio cuore ti attenda come si attende colui che si ama. Amen.

[da: Stranieri e pellegrini – Il cammino, l’attesa, l’ospitalità – Avvento e Natale 2018, Centro Ambrosiano]

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