Giovedì della II settimana di Avvento
Ez 6,1.11-14; Sal 26 (27); Ag 2,1-9; Mt 12,33-37
«L’uomo buono dal suo buon tesoro trae fuori cose buone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori cose cattive […]; infatti in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato.» (Mt 12,35.37)
L’accusa di Gesù nei confronti dei farisei cominciata nei versetti precedenti continua qui in modo ancora più netto e puntuale. In questione non ci sono le azioni che i farisei compiono, quanto piuttosto i loro discorsi. Gesù in questa pagina di Vangelo dichiara che le parole hanno un peso di notevole rilevanza. E rivelano chi siamo nel nostro io più profondo: Gesù infatti afferma che le parole, che ci escono dalla bocca, provengono dal cuore: «la bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda». Nella Bibbia il cuore è l’io profondo, che sta alla regia di tutta la vita. Ogni parola deve portare a un’opera, un movimento, un’azione, una conseguenza concreta. Viceversa si dimostrerà vuota e sterile. Il richiamo non è dunque a evitare semplicemente pettegolezzi inutili, ma, in particolare modo nel contesto di Matteo, ha un significato più pregnante: nel giorno del giudizio si chiederà alle parole dell’uomo cosa hanno prodotto. E per noi cristiani l’opera per eccellenza è l’amore. L’amore è la bilancia su cui saranno pesate le nostre parole.
Preghiamo con il Salmo
Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,
ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte.
È come albero piantato lungo corsi d’acqua,
che dà frutto a suo tempo.
(dal Salmo 1)