Domenica 28 maggio dopo l'Ascensione - VII di Pasqua
At 1,9a.12-14; Sal 132 (133); 2Cor 4,1-6; Lc 24,13-35
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24,30-32).
Quando il narratore serba un’informazione a scapito del lettore o di un personaggio della storia raccontata si produce uno squilibrio che assegna all’uno un privilegio e all’altro una penalità, generando un fenomeno di opacità. Il nostro episodio è interamente giocato proprio su queste differenze. All’inizio del racconto il narratore fornisce al lettore un’informazione che è taciuta ai due viandanti: essi ignorano l’identità del misterioso pellegrino, mentre il lettore la conosce bene. In seguito però la situazione si capovolge. I privilegiati diventano penalizzati e viceversa: i personaggi ne sanno di più del lettore. Allorché i viandanti arrivano a Emmaus lettore e discepoli sono sullo stesso piano. Nel finale del suo primo tomo Luca ha introdotto un racconto che, nelle sue dinamiche, è tutto teso al riconoscimento di Gesù nella forma della fede. L’evangelista, al principio del suo racconto, aveva dichiarato il suo intento: far riconoscere la fondatezza degli elementi della fede cui Teofilo è stato iniziato (cfr. Lc 1,4). Alla fine dell’opera l’episodio dei discepoli di Emmaus, per mezzo del processo d’identificazione propiziato dal racconto chiede il passaggio dal mancato all’effettuato riconoscimento di Gesù e ne indica la modalità: quella della fede.
Preghiamo
Signore Gesù,
ci chiedi di riconoscerti nel segno della fede,
scoprendoti nella Parola e nell’Eucaristia.
[da: La Parola ogni giorno. L’esistenza “in Cristo”, Quaresima e Pasqua 2017, Centro Ambrosiano, Milano]