Giovedì della settimana della IX Domenica dopo Pentecoste

2Sam 18, 24 – 19, 9b; Sal 88 (89); Lc 11, 14-20

Allora il re fu scosso da un tremito, salì al piano di sopra della porta e pianse; diceva andandosene: «Figlio mio Assalonne! Figlio mio, figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio!». Fu riferito a Ioab: «Ecco, il re piange e fa lutto per Assalonne». La vittoria in quel giorno si cambiò in lutto per tutto il popolo, perché il popolo sentì dire in quel giorno: «Il re è desolato a causa del figlio». Il popolo in quel giorno rientrò in città furtivamente, come avrebbe fatto gente vergognosa per essere fuggita durante la battaglia. (2Sam 19,1-4)

La storia del popolo di Israele, attraverso la quale il Signore si rivela presente, non è esente da nessuna delle contraddizioni che caratterizzano la storia di tutti. La presenza del Signore non cancella, né risolve come se non fossero parte della vita i dolori più profondi che la abitano.
L’esercito del re Davide ha riportato una vittoria decisiva contro l’oppositore Assalonne, ma il re non ne gioisce, perché Assalonne era suo figlio. Egli mette in secondo piano la gioia per la salvezza del popolo e lascia sgorgare il suo dolore paterno, segno dell’amore per il figlio che pure si era contrapposto a lui.
Non si può cercare di spiegare questa situazione, come se si potesse facilmente dare qualche ragione per il dolore che lacera mente e cuore. Come negli eventi di pari dolore che spesso viviamo si può però restare in silenzio e trasformare in preghiera quel dolore che va oltre ogni ragione, sapendo che il Signore non ha voluto rimanere estraneo a quella sofferenza.

Preghiamo

Ma non annullerò il mio amore
e alla mia fedeltà non verrò mai meno.
Non profanerò la mia alleanza,
non muterò la mia promessa.
Sulla mia santità ho giurato una volta per sempre:
certo non mentirò a Davide.

dal Salmo 88 (89)

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