Venerdì della VII settimana di Pasqua
Ct 7,13a-d.14; 8,10c-d; Salmo 44 (45); Rm 8,24-27; Gv 16,5-11
Non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili. (Rm 8,26)
La preghiera è relazione con Dio Padre, figlio e Spirito Santo. San Paolo riconosce la difficoltà che tutti abbiamo: come pregare? La buona notizia che l’apostolo ci dà è che la preghiera cristiana non è un obbligo etico-morale da eseguire, ma è dono, è grazia che viene dallo Spirito: «Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo figlio che grida: Abbà, Padre! (Gal 4,6)». Lo Spirito insegna, ci ricorda il modo, l’atteggiamento, che aveva Gesù nella preghiera quando si rivolgeva al Padre, e dunque quando preghiamo ci uniamo alla preghiera del figlio e possiamo affermare: «Non sono più io che prego, ma Cristo prega in me!». È lo Spirito che nella preghiera infonde nel nostro cuore la consapevolezza di essere (non solo sapere) figli di Dio: «Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio» (Rm 8,16). Nella vita di preghiera il credente è aiutato dallo Spirito a “riformare” la sua identità, nel cammino di conversione, a divenire sempre più simile all’uomo nuovo, al figlio di Dio Gesù Signore. Ringraziamo Dio per il dono della preghiera, quella personale silenziosa di contemplazione e di adorazione, e quella liturgica vissuta nella comunità cristiana, nell’ascolto della Parola di Dio e nei sacramenti.
Preghiamo
Quando verrà lo Spirito Santo
vi insegnerà tutta la verità.
(Gv 16,13)