V Domenica dopo Pentecoste

Gen 11, 31. 32b – 12, 5b; Sal 104 (105); Eb 11, 1-2. 8-16b; Lc 9, 57-62

Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». (Gen 11,1-3)

La storia di Abramo, che dà inizio all’alleanza del Signore con il popolo di Israele, può essere considerata come quella di ogni essere umano e di ogni comunità: ci sono momenti fondamentali nei quali il rapporto tra il passato e il futuro è sproporzionato.
In questi casi è possibile rispondere alla chiamata del Signore spingendosi verso il futuro, legandosi totalmente a un tempo che ancora non si possiede, del quale le caratteristiche sono ignote. Non si tratta però di un salto nel vuoto, né del rifiuto del proprio passato. Al contrario, solo superando il proprio passato, evitando di farlo diventare una zavorra, è possibile vivere in pienezza; al contempo, ma proprio il passato è il sostegno che consente di costruire un avvenire. Infatti, il Signore non comanda ad Abramo di lasciare la sua terra e la sua parentela perché questi siano un ostacolo da rimuovere, ma proprio ciò che essi hanno donato e costruito nel primo periodo della vita favorisce il momento successivo.
La storia della salvezza interpella ogni essere umano a una risposta personale, chiede a ciascuno di verificare quale direzione abbiano i propri giorni per rendere concreta l’alleanza con il Signore.

Preghiamo

È lui il Signore, nostro Dio:
su tutta la terra i suoi giudizi.
Si è sempre ricordato della sua alleanza,
parola data per mille generazioni,
dell’alleanza stabilita con Abramo
e del suo giuramento a Isacco.

Dal Salmo 104 (105)

 

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