Mercoledì della settimana della IV Domenica dopo l'Epifania
Sir 40, 1-8a; Sal 8; Mc 6, 30-34
Grandi pene sono destinate a ogni uomo e un giogo pesante sta sui figli di Adamo, dal giorno della loro uscita dal grembo materno fino al giorno del ritorno alla madre di tutti. Il pensiero dell’attesa e il giorno della fine provocano le loro riflessioni e il timore del cuore. Da chi siede su un trono glorioso fino a chi è umiliato su terra e su cenere, da chi indossa porpora e corona fino a chi è ricoperto di panno grossolano, non c’è che sdegno, invidia, spavento, agitazione, paura della morte, contese e liti. (Sir 40,1-5)
Tutti gli esseri umani sono accomunati dal fatto di dover morire, le diversità date dalle ricchezze e dalla fortuna non contribuiscono a togliere questo tratto collettivo. Non solo la morte, ma soprattutto la coscienza di dover morire tocca ogni persona, rende la vita segnata dalla consapevolezza della sua fine, impedisce serenità.
Il cristiano non si nasconde di fronte a questo dato, si tratta però di comprendere se quella consapevolezza trasforma il suo orizzonte, chiudendo la possibilità di ogni speranza e rendendo gli altri semplici nemici, oppure se proprio la comunanza data dalla morte è l’apertura per una destinazione fraterna, a partire dalla fede in colui che morendo ha donato a tutti la vita dei risorti.
Preghiamo
Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi?
Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
dal Salmo 8