Mercoledì della settimana della IX Domenica dopo Pentecoste
2Sam 11, 2-17. 26-27; 12, 13-14; Sal 50 (51); Lc 11, 9-13
La moglie di Uria, saputo che Uria, suo marito, era morto, fece il lamento per il suo signore. Passati i giorni del lutto, Davide la mandò a prendere e l’aggregò alla sua casa. Ella diventò sua moglie e gli partorì un figlio. Ma ciò che Davide aveva fatto era male agli occhi del Signore. Allora Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore!». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai. Tuttavia, poiché con quest’azione tu hai insultato il Signore, il figlio che ti è nato dovrà morire». (2Sam 11,26-27)
Uria muore a causa di Davide; proprio il re, colui che godeva della benevolenza del Signore, pecca con la moglie di Uria e per coprire la prima colpa ne commette una ancor più grave. Neppure le persone valorose, coloro che per molto tempo hanno saputo orientare la loro vita secondo il bene, sono esenti dalla possibilità di cadere in tentazione e compiere il male.
Come l’iniziale rettitudine non è una garanzia, neppure il peccato è però l’ultima parola: esso non può essere cancellato e provoca conseguenze irrevocabili, ma allo stesso tempo il Signore è capace di donare futuro, non rendendo il peccato commesso l’ultima parola che definisce l’esistenza.
A ciascuno, come a Davide, è offerta la possibilità, dolorosa ma portatrice di nuova vita, di scoprire il proprio peccato mettendosi con sincerità al cospetto del Signore.
Preghiamo
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.
dal Salmo 50 (51)