Sabato della VI settimana di Pasqua

Ct 5,9-14.15c-d.16c-d; Sal 18; 1Cor 15,53-58; Gv 15,1-8

Gesù disse ai suoi discepoli: «Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci». (Gv 15,4-5a)

Potremo davvero servire questo mondo, il suo bene, secondo il progetto di Dio, solamente con questo radicale impegno a non prendere le distanze dalla vita del Maestro e Signore di Nàzaret. Potremo seminare pace e bene senza disperderci in inutili divisioni o in snervanti percorsi senza meta. Quell’invito a “rimanere” chiede capacità di sostare, per comprendere, per lasciarci guidare, per non rischiare di avventurarci là dove solo la fretta potrebbe condurci. Sostare per ascoltare, per dare spazio alla voce di chi è la Via, per cogliere i sussurri dello Spirito o per assecondare le sue sferzanti ventate. Diversamente, il nostro affanno smodato, la nostra ansia da prestazione, i nostri deliri di onnipotenza ci potrebbero portare davvero lontano, e non là dove il regno di Dio vuole crescere e manifestarsi, e dove saremmo infruttuosi e tristi, soprattutto intristenti. Portare frutto non è nostra prerogativa: appartiene alla dinamicità e alla fantasia dello Spirito, che invochiamo con fiducia.

Preghiamo

Hai mutato il mio lamento in danza,
mi hai tolto l’abito di sacco,
mi hai rivestito di gioia,
perché ti canti il mio cuore, senza tacere;
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.

(Sal 30,12-13)

 

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