Venerdì della V settimana di Pasqua
At 17,16-34; Sal 102; Gv 12,44-50
Paolo, mentre attendeva Sila e Timòteo ad Atene, fremeva dentro di sé al vedere la città piena di idoli. Frattanto, nella sinagoga, discuteva con i Giudei e con i pagani credenti in Dio e ogni giorno, sulla piazza principale, con quelli che incontrava. (At 17,16-17)
Ad Atene, Paolo si presenta con un grandissimo desiderio di incidere positivamente, con la sua azione missionaria, in quella grande e importante città. Le prime righe di questo brano e il racconto del discorso all’Aeròpago ce lo descrivono animato da grande fervore, preparato, acuto nei suoi interventi, teso a non perdere alcuna occasione. Forse anche troppo. Perché poi ad Atene il risultato della sua azione evangelizzatrice sarà più modesto di quanto si attendesse. Potremmo forse dire che Paolo si è calato, qui ad Atene, nella parte del protagonista con troppa presunzione, con eccesso di ansia, mirando alla propria prestazione e meno fiducioso nel lungimirante sguardo di Dio. Paolo “fremeva” e discuteva con tutti, e forse proprio questa impazienza ne ha impoverito la serena disponibilità all’agire di Dio, alla libera corsa della Parola. È la luce di Dio che può raggiungere tutti; noi al massimo possiamo provare a favorire l’ascolto di chi incontriamo, ma non sono le nostre parole a fare la differenza. Solo Dio.
Preghiamo
Signore, tu dai luce alla mia lampada;
il mio Dio rischiara le mie tenebre.
Con te mi getterò nella mischia,
con il mio Dio scavalcherò le mura.
(Sal 18,29-30)