Venerdì 19 maggio

 

 

At 17,16-34; Sal 102 (103); Gv 12,44-50

 

«Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,46-47).

 

La tenebra è sempre dissipata dalla luce. Così è la rivelazione di Gesù, luce che illumina e spazza via la tenebra del peccato. Questo dono è pure un compito, chiede cioè una risposta e tale risposta è la fede. V’è tuttavia la possibilità che la fede si fermi a metà del cammino: all’ascolto della parola di Gesù non corrisponde l’osservanza, sicché l’uomo rimane avvolto dalle tenebre del peccato. Così il giudizio si rivela essere un autogiudizio. L’opera di Gesù è sempre opera salvifica, intesa a far sperimentare l’azione potente di Dio che libera l’uomo dal male, dal peccato, dalla morte. È l’uomo stesso che può chiudersi al dono, autoescludendosi dalla salvezza. Dio non invia all’uomo castighi e punizioni. La domanda che molti si pongono a fronte di una malattia: «Che male ho fatto per meritare questa punizione?» rivela un’immagine di Dio lontana dal Dio di Gesù. Dio non invia nessun castigo. Purtroppo è l’uomo che può chiudersi alla salvezza, rifiutando l’amore di Dio. Possiamo però convertirci e aprirci di nuovo alla misericordia di Dio.

 

Preghiamo

 

Signore Gesù,

tu ci vuoi salvare, tu ci vuoi condurre alla vita.

Siamo noi che spesso chiudiamo il nostro cuore al tuo

rifiutando di osservare la tua parola

e preferendo altre prospettive alle tue.

 

 

[da: La Parola ogni giorno. L’esistenza “in Cristo”, Quaresima e Pasqua 2017, Centro Ambrosiano, Milano]

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