II Domenica dopo l'Epifania

Nm 20, 2. 6-13, Sal 94 (95); Rm 8, 22-27; Gv 2, 1-11

Mosè e Aronne radunarono l’assemblea davanti alla roccia e Mosè disse loro: «Ascoltate, o ribelli: vi faremo noi forse uscire acqua da questa roccia?». Mosè alzò la mano, percosse la roccia con il bastone due volte e ne uscì acqua in abbondanza; ne bevvero la comunità e il bestiame. Ma il Signore disse a Mosè e ad Aronne: «Poiché non avete creduto in me, in modo che manifestassi la mia santità agli occhi degli Israeliti, voi non introdurrete quest’assemblea nella terra che io le do». (Nm 20, 10-12)

Al popolo in cammino verso la terra promessa il Signore si manifesta come colui che vuole la vita per tutti e la dona. Consentire a Mosè e Aronne di fare uscire acqua dalla roccia corrisponde al dono più necessario, che consente di proseguire il cammino. Si tratta di un evento inatteso e imprevedibile, perché è noto a tutti che la roccia è arida, mentre Dio si rivela come colui che è in grado di operare quando tutto sembra perduto. La sua opera, tuttavia, non è un semplice miracolo nel quale la libertà degli esseri umani non è coinvolta. Infatti, per poter godere appieno della libertà da lui donata in ogni caso è necessario legarsi a lui con fede, in caso contrario quel dono serve solo per mantenersi in vita, ma non per vivere in pienezza. Infatti, proprio dopo aver donato l’acqua, il Signore segnala l’indegnità degli israeliti a godere della terra promessa. Quel dono che rende liberi ma necessita di occhi e cuore adeguati per riconoscerlo lasciandosi coinvolgere da lui sarà portato a compimento in Gesù, colui che si manifesta non solo dando l’acqua che mantiene in vita, ma trasformandola nel vino della vita piena.

Preghiamo

Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere».

dal Salmo 94 (95)

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