Lunedì 15 maggio

 

 

At 15,1-12; Sal 121 (122); Gv 8,21-30

 

Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite» (Gv 8,28-29).

 

L’innalzamento di cui parla Gesù è un forte riferimento alla morte di croce. Quella morte è interpretata dall’evangelista Giovanni non come un segno di ignominia, bensì come una manifestazione gloriosa. Per Giovanni la croce è il luogo dove si rivela la gloria di Dio. Quella gloria che si era palesata a Israele sul monte Sion, ora è misteriosamente presente proprio sulla croce. Giovanni intende la morte di Gesù come un trionfo che anticipa la risurrezione. Per questo colui che è innalzato può dire «Io sono»: si tratta della formula divina utilizzata nell’Esodo per la manifestazione di Jhwh a Mosè (cfr. Es 3,14). La profonda unità fra il Padre e il Figlio si manifesta nelle opere e nelle parole di Gesù, così che ascoltando e vedendo Gesù si apprende chi è Dio. La croce è da sempre il segno stesso dei cristiani: in essa si contempla l’amore di Dio che offre suo Figlio; in essa si rivela la gloria di Dio: il Figlio ha assunto la carne umana sino alla morte, ma ha pure liberato l’uomo dalla morte per mezzo della potenza della sua risurrezione.

 

 

Preghiamo

 

Signore Gesù,

nel mistero della tua morte e risurrezione

tu hai rivelato la gloria di Dio.

Tieni fissi i nostri occhi sulla tua croce,

segno dell’amore di Dio per l’umanità.

 

[da: La Parola ogni giorno. L’esistenza “in Cristo”, Quaresima e Pasqua 2017, Centro Ambrosiano, Milano]

 

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