Domenica 23 aprile – Domenica in Albis depositis

 

 

At 4,8-24; Sal 117 (118); Col 2,8-15; Gv 20,19-31

 

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20,24-25).

 

L’evangelista Giovanni non rappresenta Tommaso come un personaggio monolitico, prima sulla sponda del dubbio e poi su quella della fede. Molto più profondamente e realisticamente le carte sono mischiate, dando forma a un personaggio complesso e non rigido, dove spinte differenti coesistono. L’ambivalenza echeggiata dal termine «Didimo» (doppio, gemello), appare adeguata in riferimento a una figura appartenente a due epoche che hanno un margine di reciproca sovrapposizione e non si contrappongono drasticamente: l’annuncio ecclesiale necessita della visione del Risorto e non la cancella. Se Tommaso intende verificare la resurrezione attraverso criteri umani (vedere e toccare), sottomettendo la realtà del mondo divino al proprio giudizio, l’intervento del Risorto soddisfa le sue attese ma insieme sorprende l’apostolo per la modalità dell’intervento. La parola autorevole del Risorto dimostra, anzitutto, di possedere il carattere dell’onniscienza: Gesù non ha bisogno di essere informato sui dubbi di Tommaso in quanto conosce perfettamente pensieri e sentimenti dell’apostolo; si realizza così una singolare inversione di ruoli: colui che voleva riconoscere il Signore si scopre da lui stesso conosciuto.

 

 

Preghiamo

 

Signore, noi non possiamo più stendere

la nostra mano per toccarti,

ma possiamo credere e così incontrare te,

Signore della vita.

 

[da: La Parola ogni giorno. L’esistenza “in Cristo”, Quaresima e Pasqua 2017, Centro Ambrosiano, Milano]

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