Lunedi 8 maggio

 

At 9,26-30; Sal 21 (22); Gv 6,44-51

 

«Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,48-51).

 

Per Israele il dono della manna era un segno tangibile della cura di Dio. Nel deserto, dove non si può vivere, il popolo sperimentava che la sua esistenza continuava proprio per l’intervento di Dio. Se il popolo raggiunge la terra promessa questo lo si deve a Dio che ha sostenuto il cammino d’Israele. Eppure quel popolo, visitato da Dio, ha conosciuto la morte. Invece il pane che Gesù dona è vita, è principio di vita eterna, è vittoria sulla morte. La «carne» ricorda l’incarnazione («Il Verbo si è fatto carne», Gv 1,14) ma nella sua tappa ultima: la morte di Gesù come sorgente di vita per gli uomini. C’è continuità fra l’incarnazione, la morte in croce e il sacramento dell’Eucaristia: la rivelazione si propone agli uomini con la stessa esigenza di fede ma anche con lo stesso rischio di rifiuto. Partecipare al banchetto eucaristico è stare ai piedi della croce: si riceve lo stesso dono della salvezza, si è chiamati a interpretare la vita nella fede. V’è il rischio di non accogliere questa prospettiva, di rifiutare il dono di Dio.

 

Preghiamo

 

Signore Gesù,

non smetti di donarti a noi nell’Eucaristia.

Donaci di capire che questo dono chiede la nostra risposta

per intendere la vita secondo la tua prospettiva,

nel dono di noi stessi ai fratelli.

 

[da: La Parola ogni giorno. L’esistenza “in Cristo”, Quaresima e Pasqua 2017, Centro Ambrosiano, Milano]

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