Lunedì della settimana della III Domenica dopo il Martirio di san Giovanni il Precursore
L’evangelizzazione della Corea risale agli inizi del secolo XVII, quando alcuni coreani, visitando Pechino, vennero a contatto con la fede cristiana. Ritornati in patria, seppero organizzare, anche senza pastori, una fervente comunità, che perseverò nella fede fino all’arrivo dei primi missionari francesi.
Notizie di Andrea Kim, figlio di Ignazio (il padre fu pure martirizzato nel 1821), ci giungono da due lettere da lui scritte in carcere nel 1846. Andrea nacque nel 1821 da una fervente famiglia cristiana, che dovette fuggire da Seul per l’incombere della persecuzione. Nel 1836, ormai quindicenne, entrò in contatto con padre Maubant, uno dei primi missionari entrato clandestinamente in Corea, che lo mandò a Macao nella speranza di prepararlo al sacerdozio.
Nel 1844, diacono, ritornò in patria. A ordinarlo sacerdote fu Mons. Ferréol, che Andrea, con molta astuzia, era riuscito a introdurre nel suo paese. La stretta collaborazione tra i due, pur in clima di persecuzione, portò molti frutti. Andrea fu molto amato dai suoi connazionali, non solo perché coreano, ma anche perché esemplare nella pratica del vangelo e di grande capacità comunicativa nel trasmettere la fede con un linguaggio semplice e profondo. Casualmente scoperta la sua identità di cristiano, fu incarcerato nella primavera del 1846; si cercò in ogni modo di farlo apostatare ma, non riuscendovi, dopo atroci torture, fu decapitato, il 16 settembre del 1846.
Altro insigne apostolo, ma laico, fu Paolo Chong Hasang nato a Mahyan nel 1795. Suo padre Agostino e suo fratello Carlo furono martirizzati nel 1801, mentre lui, la madre e la sorella furono imprigionati e privati di tutti i loro beni. Una volta liberato, ormai ventenne, si dedicò alla comunità cristiana, allora senza pastori, privilegiando i poveri. Una delle aspirazioni più grandi di Paolo Chong era quella di cooperare all’introduzione dei sacerdoti in Corea. Per questo affrontò numerosi e difficilissimi viaggi fino a Pechino – dove poteva partecipare all’Eucaristia – per implorare l’invio dei missionari. La venuta del vescovo Imbert fece sì che Paolo Chong potesse pensare ad una sua preparazione al sacerdozio. Ma il riaccendersi della persecuzione lo portò in prigione, dove, dopo atroci torture, fu decapitato il 22 settembre 1839.