Sabato della V settimana di Avvento

Cristo

O Radice di Jesse,
che sei un segno per i popoli,
innanzi a te i re della terra non parlano,
e le nazioni ti acclamano:
vieni e liberaci,
non fare tardi.

Terzo giorno della novena, l’attesa del Signore si esprime attraverso l’invocazione di lui come “radice di Iesse”. Il riferimento è alla profezia messianica di Is 11, 11: “Un germoglio uscirà dal tronco di Iesse, un virgulto spunterà dalle sue radici”. Iesse, storicamente, è il padre di Davide, il piccolo re fanciullo che, pastore, è stato scelto da Dio in modo assolutamente imprevedibile, per liberare il popolo dal gigante Golia e da tutti i poteri idolatri. Ma l’istituzione della regalità subì presto – come ogni realtà umana suscettibile di deformarsi in potere – grave decadimento, fino a scomparire.
La promessa legata però alla scelta del giovane re pastore rimane fedele oltre la storia fatta da mani e logiche umane. Il Messia è atteso nei testi profetici isaiani come piccola radicina che germoglia da un tronco reciso alla sua base. Il misterioso Servo del Signore è visto dal profeta come “un virgulto cresciuto davanti al Signore, come radice uscente da arida terra” (Is 53, 2). E Zaccaria, profeta sorto dopo la desolante esperienza di popolo della deportazione e del ritorno dall’esilio, vede il Messia venire come “mio servo Germoglio” (3, 8) e così vede avverarsi la ricostruzione del tempio distrutto: “Ecco l’uomo: il suo nome è Germoglio” (6, 12: cfr. Ger 23, 5; 33, 15; Ez 17, 5). Al compimento dei tempi, la profezia dell’Apocalisse delinea nuovamente l’avvento di questa presenza di Gesù, come colui che rigenera il tempo e la fecondità della terra – la “radice” – in misterioso collegamento con la figura del piccolo pastore bello, Davide, personificazione di tutte le più ardite speranze di salvezza del popolo amato.

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