San Charbel Makhlof

 

Giuseppe Makhlüf nacque in un villaggio del Libano nell’anno 1828 in una famiglia di contadini dalle profonde radici cristiane. Rimasto a tre anni orfano di padre, crebbe sotto la guida di un uomo che la madre sposerà in seconde nozze e che sarà poi ordinato sacerdote. Quest’uomo gli farà da padre, e Giuseppe lo aiuterà nel suo ministero sacerdotale. A 14 anni, mentre si prende cura del gregge della famiglia, scopre una grotta appartata, nella quale incomincia a ritirarsi per ore in preghiera. È la grotta che sarà subito chiamata “grotta del santo”.

Pur sentendosi chiamato alla vita monastica non poté realizzare il suo desiderio prima di 23 anni, quando entrò come novizio nell’Ordine Maronita Libanese, assumendo il nome di Charbel. Ordinato sacerdote nel 1859, condusse per quindici anni nel monastero di ’Annaya vita esemplare di preghiera e attenzione ai bisogni di tutti, in particolare degli infermi.

Finalmente nel 1875 ottenne l’autorizzazione a ritirarsi in un eremo, situato a 1400 metri sul livello del mare, dove si dedicò totalmente alla preghiera, e all’ascesi più rigorosa. Il 16 dicembre 1898, mentre celebrava l’Eucaristia, fu colpito da malore; trasportato nella sua stanza, completò in un’agonia di otto giorni la celebrazione e la sua vita: era il 24 dicembre. Sulla sua tomba avvennero fatti prodigiosi e molte guarigioni e miracoli. Subito il popolo lo venerò come santo, e la venerazione è continuata ininterrotta sebbene un culto ufficiale sia stato autorizzato solo ai nostri giorni, al momento della beatificazione, avvenuta ad opera del papa Paolo VI il 5 dicembre 1965 durante le celebrazioni a chiusura del Concilio Vaticano II.

Il 9 ottobre 1977 poi, durante il Sinodo mondiale dei Vescovi, Charbel Makhlüf, l’eremita di rito maronita, è stato elevato agli onori degli altari, primo santo libanese canonizzato dalla Sede apostolica nei tempi moderni.

 

Oggi si celebra anche Santa Cristina di Bolsena, martire.

Cristina, figlia di Urbano, ufficiale di palazzo, essendo cristiana, non si lasciò persuadere dal padre ad offrire sacrifici agli idoli. Fatta flagellare e rinchiusa in un carcere perseverò nella sua fede. Consolata e guarita da tre angeli, venne poi gettata nel lago di Bolsena legata ad una pesante pietra per esservi annegata. Salvata per intervento angelico poiché la pietra non affondò, morì martire per decapitazione. E’ venerata a Bolsena fin dal IV secolo ed è raffigurata nei mosaici di S. Apollinare Nuovo di Ravenna (sec. VI).

 

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