San Vito, martire (III secolo)

 

Non si hanno notizie storiche attendibili sulla sua vita. Secondo una passio leggendaria del VII secolo Vito sarebbe nato in Sicilia da padre pagano e ancora fanciullo sarebbe stato incarcerato perché cristiano.

Dal Martirologio Geronimiano sappiamo che visse in Lucania, dove sarebbe nato, a Mazara del Vallo (Trapani) in una ricca famiglia. Rimasto orfano della madre, fu affidato ad una nutrice, Crescenzia e poi a un pedagogo, Modesto, entrambi cristiani, che lo allevarono e lo istruirono nella loro fede. Nel 303 scoppiò in tutto l’impero romano la persecuzione di Diocleziano, e Vito fu in tutti i modi inutilmente pressato perché abiurasse alla fede cristiana e sacrificasse agli idoli.

Arrestato con la sua nutrice e il suo pedagogo, mentre insieme con loro percorreva il calvario del martirio, operò numerosi prodigi, guarendo anche il figlio di Diocleziano affetto da epilessia. Morì infine, sfinito dalle torture, il 15 giugno del 303, ancora adolescente. Popolarissimo nel Medioevo, Vito fu inserito nel numero dei 14 “Santi Ausiliatori”, la cui intercessione si riteneva particolarmente efficace in particolari malattie e necessità.

Il suo culto si diffuse presto in tutta la cristianità; moltissime cittadine d’Europa vantano di possedere sue reliquie. A Praga gli è consacrata una splendida cappella. Nella città ritenuta suo luogo di nascita, Mazara del Vallo, san Vito è festeggiato ogni anno con una solenne e tipica processione. Il santo è anche patrono di Recanati e nella sola Italia ben 11 Comuni portano il suo nome. Per le sue doti taumaturgiche è invocato contro l’epilessia e la corèa, una malattia che per i movimenti incontrollati che provoca è detta anche “ballo di san Vito”.
 

Oggi la Diocesi di Milano ricorda il beato Clemente Vismara.
Nato nel 1897 ad Agrate Brianza (Milano), Clemente è sacerdote missionario nel PIME dal 26 maggio 1923. Partito per la Birmania il 2 agosto dello stesso anno vi muore il 15 giugno 1988 a Mongping, l’ultima delle sei parrocchie da lui fondate, con un solo ritorno in Italia alcuni mesi nel 1957. Cordiale e ottimista, sempre sorridente, è morto a 91 anni “senza invecchiare”, dicevano i suoi confratelli perché, come scriveva lui stesso, “la vecchiaia incomincia quando ti accorgi che non sei più utile a nessuno; e lui è stato utile a tanti fino all’ultimo giorno, in un paese fra i più poveri e fra popolazioni tribali tormentate da guerre, dittatura, carestie, malattie, miseria. Riconosciuta l’eroicità delle virtù, è stato dichiarato  beato il 26 giugno 2011.

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