Gli istituti di pena sul territorio della diocesi tra riaperture e limiti. Parla Ileana Montagnini, responsabile dell’Area carcere e giustizia di Caritas

di Luisa BOVE

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Vaccini, colloqui, lavoro, volontariato e altro ancora sono solo alcuni dei temi che stanno a cuore a Caritas ambrosiana in riferimento alla situazione dei sette istituti di pena sul territorio della Diocesi. Seppure a ritmi differenti la somministrazione dei vaccini anti-Covid, al personale penitenziario e ai detenuti, è iniziata, «sia nelle 5 Case circondariali sia nelle 2 di reclusione – dice Ileana Montagnini, responsabile dell’Area carcere e giustizia di Caritas – A Bollate e Opera la gestione è più semplice, mentre nelle case circondariali bisogna affrontare i continui nuovi ingressi, quindi praticare anche gli isolamenti, però si procede».

Negli ultimi mesi la situazione in generale è migliorata?
Il fatto che la casa circondariale di San Vittore stia gradualmente riammettendo una serie di volontari e di operatori, pur con tutte le cautele dovute, è un buon segno. Così pure la richiesta di vaccinazione per i volontari stessi è stata accolta e a fine aprile sono iniziate le prime dosi. Questo ci fa ben sperare che dopo l’estate, magari anche prima, potremo rientrare stabilmente con tutte le attività, dalla scuola ai vari servizi dei volontari. Questa è la speranza, ma anche l’accorato invito che facciamo alle direzioni di tutti gli istituti, perché risentono del deserto di attività della società civile, che invece è molto importante.

Qualcuno è già rientrato?
Oltre alle scuole, ho notizie delle cappellanie (non limitate ai soli cappellani) e di alcune attività culturali e progettuali. Per “Biblioteche in rete” a San Vittore sono rientrati solo due operatori, ma la nostra speranza è procedere più velocemente con gli ingressi. Siamo ancora in attesa di nuove disposizioni, però è chiaro che si è innescato un meccanismo diverso. Auspichiamo che rientri stabilmente anche l’anagrafe, altrimenti è un problema, il Comune e il garante si sono impegnati in questo. Insomma, occorre che ritorni a regime tutto ciò che consentiva le attività per rispondere alle necessità.

I colloqui con i familiari, che erano stati interrotti e l’anno scorso sono stati la causa di scontri e rivolte interne, sono ripresi?
Stanno riprendendo quelli in presenza, ma non in tutti gli istituti; intanto continuano anche quelli con le tecnologie. È importantissimo che le acquisizioni introdotte a causa del Covid (skype, piattaforme, videochiamate…) rimangano anche dopo per garantire i colloqui a distanza. Penso ai colloqui con l’estero, ma anche in zone d’Italia dove i familiari sono molto lontani. Ci auguriamo che anche la scuola sia svolta in modo misto (presenza e distanza), perché le tecnologie hanno grandi potenzialità e possono essere utilizzate in parallelo.

E poi viaggiare costa…
Esatto. Prima del Covid i parenti viaggiavano con oneri personali o appoggiandosi alle associazioni che offrono accoglienza, ma di fatto si sobbarcano i costi di spostamenti e pernottamenti, per questo la tecnologia diventa essenziale. Noi sappiamo che coltivare gli affetti familiari è la prima prevenzione al suicidio in carcere. Ha fatto scalpore la notizia dei cellulari nelle celle, ma non bisogna pensare subito alla criminalità organizzata, perché in moltissimi casi le telefonate che partivano dagli istituti erano agli stretti familiari (moglie, mamma, figli). Questo è un bisogno che non può essere ignorato, è un diritto per tutti. Non dimentichiamo che i familiari non sono rei, ma spesso vittime secondarie.

Le celle sono ancora chiuse durante il giorno per ridurre i rischi di contagio?
Sappiamo che là dove è possibile c’è una riapertura, anche se non in tutti i reparti. Non abbiamo notizie precise, però non ci devono essere scuse: la sorveglianza dinamica deve tornare. Così come devono tornare a circolare i volontari e gli operatori dall’esterno. L’emergenza sanitaria è un motivo sufficiente per stare attenti, ma non bisogna cadere negli automatismi, per questo occorre vigilare.

Altre questioni aperte?
Siamo preoccupati per l’interruzione dei tirocini e dei corsi di formazione che speriamo possano riprendere. La crisi generata dalla pandemia colpisce le fasce più fragili, incluse le famiglie delle persone detenute e coloro che escono a fine pena o alle misure alternative. La mancanza di tirocini, formazione e lavoro inevitabilmente genererà sacche di povertà ancora più vaste. In questi giorni stanno però partendo i nuovi progetti finanziati dal Fondo sociale europeo e siamo contenti. Tuttavia l’esigenza di casa e lavoro fuori dal carcere non può essere un progetto a tempo. Basta progetti, occorre attivare servizi stabili, perché uscire dal carcere e avere bisogno di una prospettiva non rappresenta l’emergenza, è la normalità. E difficile immaginare che dopo la detenzione una persona riesca a reinserirsi senza una spinta.

 

 

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