Il sacerdote e influencer commenta il dramma di Casal Palocco, dove un gruppo di YouTuber, alla guida di un Suv, ha ucciso un bambino di 5 anni: «I “creator” non hanno più nulla da dire, offrono loro stessi»
di Daniele
Rocchi
Agensir
«I creator di oggi, a volte, non hanno più niente da dire e non creano contenuto. L’unico contenuto che offrono sono loro stessi. Tutto quello che fanno è volto ad aumentare la propria immagine per aumentare i follower e in qualche modo aumentare il proprio ego in maniera smisurata. Questa è alienazione dei social network. Questo meccanismo si è infranto, ha sbattuto letteralmente contro la realtà e ha distrutto il “giocattolino” di questi ragazzi che adesso devono fare i conti con un peso e una responsabilità infinita da portare sulle spalle». Don Alberto Ravagnani, giovane prete ambrosiano, influencer molto seguito su TikTok, Instagram e YouTube, commenta così la tragedia, avvenuta lo scorso 14 giugno a Roma, dove cinque ventenni, impegnati in una challenge – guidare per 50 ore alternandosi alla guida un potente Suv noleggiato – si sono schiantati, mentre si riprendevano con un telefonino, contro una Smart su cui viaggiavano una mamma con i suoi due bimbi di 3 e 5 anni, provocando la morte di quest’ultimo, Manuel. Una bravata per il gruppo di youtuber autori del canale TheBorderline (600mila iscritti e decine di milioni di visualizzazioni) che ha interrotto le attività dopo l’incidente.
«Alienati»
«Quanto avvenuto a Roma è l’esempio negativo di come il mondo oggi ci possa far alienare completamente dalla realtà. I social network hanno grandi potenzialità, ci permettono di creare contenuti che vanno verso la promozione umana. Ma sono anche degli strumenti che, nel momento in cui vengono usati male, possono fare danni, come in questo caso», aggiunge il sacerdote che è anche l’ideatore del primo oratorio digitale, “LabOratorium”, un progetto al servizio dei giovani che desiderano avere una voce nel mondo digitale e costruire relazioni buone e ispirate al Vangelo. «L’uomo è capace di essere molto stupido e molto cattivo e può capitare che le due cose vadano di pari passo – afferma Ravagnani -. Abbiamo creato un sistema per cui oggi si può “campare” anche di questo. Molti youtuber, con il loro stile di vita, diventano dei modelli per gli altri ragazzi guadagnando soldi senza fatica».
Stile di vita che può prevedere – le indagini sulla morte del piccolo Manuel dovranno fare luce anche su questo – l’uso di droghe. «Nel momento in cui si è privi di valori ci si annoia tanto – spiega il sacerdote -, si fa di tutto per sentirsi vivi ed è facile cercare le forme più estreme possibili per riempire le giornate: sballo, cannabis, vita sregolata. Tutto questo fa da contorno a una ricerca di senso che non porta da nessuna parte». Per don Ravagnani la domanda interessante non è tanto «che male c’è a guidare un Suv per 50 ore», quanto «che bene c’è nel farlo»: «Se uno non ha mai sperimentato il bene – non sa cosa è – non ha criteri di riferimento per giudicare in maniera reale il valore della propria azione».
Non si può aggiustare tutto
Anche gli adulti sono chiamati ad assumersi le proprie responsabilità davanti a questa “alienazione” da social network. «Stiamo assistendo – sottolinea il sacerdote – a una crisi del mondo adulto che ha imparato che con gli strumenti della tecnica si può fare qualsiasi cosa e si può rimanere giovani per sempre». Fanno pensare, a riguardo, le parole, riferite da testimoni, dei genitori dei ragazzi del Suv, che rassicuravano i figli ripetendo che «era stata solo una bravata, che si sarebbe risolto tutto»: «Si può aggiustare tutto, ma in realtà ci sono fatti che non si possono aggiustare e che sfuggono al controllo degli uomini – rimarca con forza don Ravagnani -. Non siamo noi il Dio della nostra vita. Il “si aggiusta tutto” rivela il pensare di certi adulti che credono di essere il centro dell’universo. A un bambino morto, non c’è nessun rimedio».
Educare a una vita interiore
Cosa direi a questi giovani youtuber? «Starei ad ascoltarli se hanno qualcosa da dire, sapere non tanto perché hanno provato quel tipo di challenge, ma capire cosa cercano, quali sono le loro passioni, problemi e ferite, cosa vogliono dalla vita. Ascoltare la loro coscienza. Se non si ha contatto con la propria coscienza, è difficile fermarsi quando si sta facendo qualcosa di sbagliato. Allora bisogna essere aiutati, educati ad avere una vita interiore, ad ascoltare la propria coscienza. I social – conclude -, se usati bene, possono trasmettere contenuti ottimi. Ci sono tante persone che hanno qualcosa da dire e riescono a dirla in maniera bella e devono essere prese a esempio».