Uno studio collega l’irrigazione dei terreni all’insorgere della Sclerosi. Nella Giornata mondiale di lotta alla malattia proponiamo una sintesi del servizio pubblicato su «Il Segno» di giugno
Ogni anno la Sla colpisce da una a tre persone ogni 100 mila: in Italia sono circa un migliaio. È chiamata «Morbo di Lou Gehrig», dal nome di un giocatore americano di baseball che la contrasse negli anni Quaranta, ma è nota anche come «la malattia dei calciatori» per l’alto numero di vittime nel calcio italiano.
Proprio l’incidenza di casi sopra la media tra i calciatori ha indotto ad avanzare diverse teorie sulle possibili cause: l’assunzione di sostanze dopanti, l’abuso di farmaci e antidolorifici, il trattamento dei terreni con pesticidi e diserbanti, traumi di gioco. Un recente studio ha avanzato una nuova ipotesi: dietro l’insorgere della Sla potrebbe esserci acqua “non trattata”, utilizzata per irrigare i campi.
Su Il Segno di giugno parla Giuseppe Stipa, neurofisiologo dell’Ospedale di Terni, tra i curatori dello studio: «L’origine della Sla è sempre stata ritenuta di natura genetica. La letteratura scientifica, i casi clinici e i racconti di pazienti da me sottoposti a elettromiografie fin dal 2004 puntano invece in un’altra direzione e propendono per una genesi ambientale. Ma questi fattori non hanno mai ricevuto dalla ricerca la dovuta attenzione, anche quando è emersa con evidenza la correlazione tra la malattia e il calcio».
Già nel 2019 uno studio epidemiologico condotto dall’Istituto Mario Negri di Milano con l’Iss rilevava la frequenza di casi di Sla tra ex calciatori di Como, Lecco, Sampdoria, Genoa e Fiorentina: squadre i cui stadi sono nei pressi rispettivamente del lago di Como e dei fiumi Bisagno e Arno: «Lecito dunque chiedersi se per l’irrigazione dei terreni si ricorra ad acqua proveniente da questi bacini e non adeguatamente depurata». A conforto dell’ipotesi anche l’alto numero di vittime di Sla tra gli agricoltori. «Dato che anche i calciatori svolgono un esercizio fisico intenso su campi erbosi, l’accostamento tra le due attività, con i terreni quale minimo comune denominatore, pare significativo. Il contatto cronico con diserbanti o pesticidi non può essere scartato a priori come fattore scatenante».