Un clima di grande attesa nella casa di reclusione, come testimonia il cappellano don Fabio Fossati
di Luisa
BOVE
La casa di reclusione di Bollate, alle porte di Milano, aperta solo nel 2000 oggi conta 1200 detenuti tra uomini e donne. Anche qui il Covid ha segnato profondamente la vita delle persone ristrette. «Adesso va abbastanza bene, il periodo più brutto è passato – ammette il cappellano don Fabio Fossati -, ma abbiamo vissuto mesi molto difficili, soprattutto prima di Natale, a novembre e dicembre. Adesso a Bollate c’è un clima di grande attesa e di grande speranza». «Le attività scolastiche sono riprese, come pure i colloqui in presenza – spiega don Fossati – anche se rimangono restrizioni sotto i 12 anni e sopra i 65, e questo è un grande problema, perché vuol dire che i bambini piccoli e i genitori anziani non possono vedere i loro figli, se non online, attraverso whatsapp».
Anche il volontariato, seppure con lentezza, sta riprendendo. «Ieri abbiamo ricominciato gli incontri di catechesi – continua il cappellano -, però c’è ancora il vincolo di non tenere insieme detenuti di reparti diversi. Un limite rimasto imprescindibile». Tra le associazioni del Terzo settore è rientrata per esempio la Sesta opera san Fedele, realtà che fa capo ai gesuiti e che svolge assistenza ai reclusi. La loro presenza è ancora ridotta, entra infatti una persona al giorno. «Noi con i volontari legati alla cappellania riprendiamo adesso – dice don Fossati – con qualche incontro anche nei piani. È una ripresa molto lenta, ma da quello che capisco, dal punto di vista della direzione le attività potranno tendenzialmente riprendere con una certa decisione solo dopo la seconda dose dei vaccini. Ora siamo ancora in una fase interlocutoria».
Intanto la polizia penitenziaria presente nell’istituto di Bollate è già stata vaccinata, come pure gli operatori impegnati nell’area sanitaria, anche la somministrazione ai detenuti si sta concludendo, mentre il cappellano è tuttora in attesa di vaccino. Il carcere di Bollate è noto per le tante attività lavorative che si svolgono all’interno, molte delle quali gestite da cooperative sociali. Per fortuna molte continuano, il call center, l’assemblaggio organizzato da Bee-4, il vivaio di Cascina Bollate e altro ancora. Poi ci sono i lavoranti esterni (come stabilisce l’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario), che escono al mattino e tornano la sera. «Al momento escono tutti e quando rientrano non devono mescolarsi con gli altri – puntualizza il cappellano -, però sono tanti coloro che hanno perso il lavoro a causa del Covid».
Anche i detenuti che escono in permesso premio, quando rientrano devono rimanere separati. «Quelli che non hanno famiglia e venivano accolti nelle associazioni o i più poveri che uscivano solo per 12 ore sono tuttora bloccati. Chi può andare a casa ottiene permessi anche di cinque giorni. Per gli altri invece non ci sono possibilità, anch’io prima ospitavo e ora non più». Poi ripete: «La situazione da noi è stata davvero difficile, abbiamo attraversato mesi molto duri, ora però è un buon momento e le prospettive sono discrete».