«L’Africa costruisce campi profughi anziché muri», dice Daniele Moschetti, comboniano che a Castel Volturno lavora per l’integrazione tra africani e italiani. Danilo Feliciangeli, coordinatore di interventi umanitari in Siria: «Si chiudono le porte a chi scappa dalla guerra»
di Ilaria
DE BONIS
Redazione “Popoli e Missione”
«La mia prima reazione è stata di sorpresa e dispiacere: come? Il grande popolo cattolico polacco che non ricorda più la sua storia? Cosa succede nell’Europa orientale? Stanno costruendo muri, respingono le persone, innalzano barriere?». Lo sgomento è di padre Daniele Moschetti, missionario comboniano a Castel Volturno, in Campania (dopo 7 anni di missione in Sud Sudan e dieci in Kenya), dove porta avanti progetti di integrazione tra africani e italiani.
Chi respinge e chi accoglie
Di fronte alla «aberrazione disumana della Bielorussia che usa i migranti come arma politica» e dei conseguenti «respingimenti polacchi», dice Moschetti, «mi viene da pensare a quanto tutto questo sia irrazionale e pericoloso». Al contrario, «c’è anche chi accoglie nonostante la povertà estrema: è l’Africa. Il continente che costruisce campi profughi anziché muri».
Anche in Medio Oriente, sia la Giordania, sia il Libano sono Paesi di destinazione di migliaia di profughi in fuga. «Leggo che dodici Paesi in Europa vorrebbero finanziamenti per costruire barriere e filo-spinato, ma questo significa calpestare i diritti umani – aggiunge padre Moschetti -: è inoltre un boomerang che prima o poi torna indietro, perché crea rabbia e risentimento tra i respinti».
Migranti strumentalizzati
Le centinaia di famiglie siriane, irachene e libanesi (da giorni all’addiaccio nei boschi di confine in Europa dell’est) sono state trasportate al confine con la Polonia da voli charter «fatti arrivare proprio dal governo bielorusso». Lo confermano gli operatori di Caritas, tra i quali Danilo Feliciangeli che coordina gli interventi umanitari in Siria: «Sono stati strumentalizzati» dal governo di Minsk che spinge migliaia di iracheni e siriani verso le frontiere esterne dell’Ue, dice. «Eppure si tratta di persone che fuggono da una Siria ancora minacciata dalla guerra, sia nella regione di Idlib che nel nordest – spiega Feliciangeli -. Si parla poi di un imminente attacco della Turchia a Kobane. Tornare in Siria per questi profughi è impossibile. Potrebbero arrivare fino a Damasco via aereo, ma rientrerebbero in uno scenario di morte».
Un popolo in fuga
Inoltre, il governo di Assad viola i diritti umani dei cittadini siriani che non sono allineati con il regime. «La situazione è anche peggiorata: la povertà estrema è diffusa. Mancano assistenza sanitaria ed educazione in Siria – afferma il responsabile della Caritas -. Prima del conflitto la Siria contava 23 milioni di abitanti, oggi dopo dieci anni di guerra 6,7 milioni di persone vivono nella condizione di sfollati interni e altrettanti sono i profughi», spiega.
Crudeltà senza motivo
Scenario border line simile anche in Libano, dove «circa 3.500 medici e infermieri hanno lasciato il Paese negli ultimi 6 mesi. Poco meno di un milione di rifugiati siriani in Libano provano a partire». Da lì raggiungono l’Europa, gli Stati Uniti ma anche l’Africa. «Non accoglierli, o peggio, prenderli di mira per impedire che non oltrepassino le barriere costruite al confine – incalza ancora padre Moschetti – è una crudeltà senza motivo».
Situazione diversa – anche se non meno grave e problematica – in Africa. L’Uganda ha aperto il campo profughi di Bidi Bidi, dove vivono 270 mila sud sudanesi. In Mozambico il campo profughi di Maratane accoglie 9.500 persone provenienti dalla regione dei Grandi Laghi.
Confini aperti
Padre Moschetti dice che «le condizioni sono ben più misere e precarie di quelle polacche, eppure la tendenza è ad aprire i confini non a chiuderli». Per quanto riguarda l’Italia, laddove i migranti sono giunti in massa, come a Castel Volturno, nella Terra dei fuochi ancora in macerie, «con tutte le difficoltà che abbiamo – dice padre Daniele – su 27 mila abitanti, almeno 5mila vengono dall’Africa (soprattutto Nigeria e Senegal), e altrettanti sono gli “invisibili” senza documenti e identità».
Si tenta comunque con tutti un percorso di convivenza, nonostante la diffidenza. E qualche volta i risultati ci sono: il progetto Black and White, che ospita bimbi di tutte le provenienze, sta lì a dimostrarlo.