Per l'Arpa le risorse idriche sono già meno della metà rispetto alla media attesa in questo periodo. Valeria Chinaglia (Consorzio Villoresi): «Sarà necessario razionare l'acqua per l'irrigazione»

di Stefania CECCHETTI

canale villoresi
(foto Consorzio Villoresi)

Ci aspetta un’altra estate di fuoco. E di siccità. Ne è convinta Valeria Chinaglia, direttore generale del Consorzio bonifica Est Ticino Villoresi, ente che, come tutti i consorzi irrigui, ha il compito di trasportare e distribuire le acque, attraverso la rete di canali che amministra, ai cosiddetti “utenti irrigui”, vale a dire principalmente gli agricoltori, ma anche i parchi naturali nei quali ci sono aree verdi o umide che necessitano irrigazione. Il consorzio Villoresi gestisce un bacino idrico molto ampio, che comprende il canale Villoresi, che va dal Ticino all’Adda, tutta la rete del naviglio Grande fino a Pavia e quella del naviglio Martesana: «Sette province, 432 comuni e 5 milioni e mezzo di abitanti. Più della metà della Lombardia», spiega.

Dati Arpa Lombardia alla mano (vedi grafico qui sotto), le prospettive a breve non sono buone per l’agricoltura lombarda, secondo Chinaglia: «Ad oggi siamo già a meno 56% di risorse idriche rispetto a quelle mediamente attese in questo periodo negli anni passati. L’anno scorso di questi tempi la percentuale era intorno al 50%. A mancare, anche quest’anno, sono stati soprattutto i depositi di neve, il cui scioglimento garantisce acqua nei mesi estivi. E anche i nostri principali “serbatoi”, i laghi, sono messi male. I due grandi laghi a cui ci riferiamo, il Maggiore e il Como, sono rispettivamente al 38% e al 19% del loro riempimento. Adesso l’unica salvezza sarebbe una primavera di precipitazioni, che però dovrebbero essere molto copiose». Praticamente un miracolo, viste le tendenze degli ultimi anni.  

Quando l’acqua scarseggia, bisogna razionarla: «Di solito il livello dei laghi viene regolato a beneficio delle centrali, sia termo che idroelettriche, e dei contadini a valle. Quando l’acqua scarseggia si riducono al minimo gli utilizzi elettrici per fare salire i laghi di livello e accumulare acqua per la stagione irrigua vera e propria, che inizia a maggio e dura circa 100 giorni». Ma anche questo espediente potrebbe non essere sufficiente, spiega Chinaglia, visti i dati relativi alle riserve idriche, che non differiscono molto da quelli del 2022: «L’anno scorso ci è stata data la metà dell’acqua che ci serviva: 60 metri cubi al secondo, in alcuni momenti addirittura siamo arrivati a 54, contro i 120 necessari. Il problema è che mentre il Villoresi, costruito nell’800 dall’omonimo ingegnere, è un canale “moderno” e può lavorare con poca acqua perché ha della paratoie che consentono di sezionarlo e “bacinizzarlo”, il Naviglio grande, costruito nel 1200, non ha queste piccole “dighe” e dunque l’acqua si disperde molto di più. Abbiamo chiesto finanziamenti per realizzarle, ma finora non abbiamo ricevuto risposte né dalla Regione né dal Governo. Avere questi bacini anche nel Naviglio ci permetterebbe di conservare un po’ di acqua anche lì, senza doverla spostare dall’uno all’altro canale all’atro ogni 10 giorni, come abbiamo fatto l’anno scorso».

Ripensare l’agricoltura

Razionamenti che nel 2022 hanno messo in ginocchio l’agricoltura lombarda, lo abbiamo toccato con mano tutti nell’aumento dei prezzi di frutta e verdura. Come è possibile far fronte a questa siccità, che negli anni a venire sarà la regola, in un’ottica di adattamento ai cambiamenti climatici? «Il Villoresi – spiega Chinaglia – serve 23 mila ettari prevalentemente coltivati a mais, mentre il Naviglio serve 93 mila ettari seminati per lo più a riso. Si tratta di colture molto idroesigenti e che attualmente hanno entrambe un picco irriguo a luglio. Mentre infatti una volta il riso era coltivato e seminato tutto in sommersione, negli ultimi anni la Regione ha favorito la semina in asciutta, che richiede meno diserbanti. Basterebbe tornare alla sommersione invernale per ottenere un duplice vantaggio: mantenere la ricarica della falda grazie alla sommersione invernale e non avere il picco di richiesta idrica nel mese di luglio. Certamente la conversione ha comportato investimenti per gli agricoltori, dato che i macchinari per la semina in asciutta sono diversi, l’eventuale ri-conversione è un processo che dovrebbe essere portato avanti con gradualità». L’esigenza di adattare il lavoro agricolo alla nuova emergenza climatica è del resto sentita dagli stessi contadini: «Molti sono già passati a cereali che chiedono meno acqua, come gli orzi e la soia. Ma la soluzione più concreta ed efficace, in prospettiva, è investire nella manutenzione e nel miglioramento delle reti idriche», conclude Chinaglia.

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