Celebrazione nel ricordo di don Mario Riboldi, «il prete degli zingari» morto in giugno, che ha vissuto lì: «Una figura straordinaria, oggi felice nella gloria di Dio. Lo ammiriamo e gli vogliamo bene»
di Filippo
Magni
Da don Mario a don Mario. Nel campo nomadi di Brugherio, dove don Mario Riboldi ha vissuto e predicato il Vangelo per una vita, è andato a celebrare la Messa monsignor Mario Delpini.
L’Arcivescovo di Milano, nel pomeriggio di giovedì 11 novembre, ha incontrato la comunità sinti che vive da decenni in un’area attrezzata in una traversa di via Quarto, in prossimità del casello della Tangenziale Est di Brugherio, provincia di Monza e Brianza. Non era la prima volta di Delpini in questo luogo: c’era già stato, ha ricordato lui stesso, non da Arcivescovo però, e aveva mangiato una pasta al pesto nella roulotte di don Mario.
L’occasione del ritorno di Delpini è appunto una messa di suffragio per don Riboldi, morto lo scorso giugno all’età di 92 anni. La figura del sacerdote è davvero unica, come ha ricordato all’inizio della celebrazione don Marco Frediani, incaricato per la Pastorale dei nomadi nella diocesi di Milano. Don Mario, ha detto rivolto alla sessantina di persone presenti, «vi ha amato e ha donato a voi tutta la sua vita, abitando con voi per 68 anni in una povertà sobria». Riboldi stesso, infatti, viveva in una roulotte nel campo di via Quarto, ma condivideva lo stile di vita sinti fino in fondo, spostandosi spesso. Ha imparato la lingua sinti e a lui si devono le uniche traduzioni del Vangelo in quella lingua. Ha fatto emergere figure di santità tra i rom e sinti, come il Beato Zeffirino, e raccontava spesso delle vocazioni sacerdotali e religiose, di uomini e donne, che nascevano nella comunità.
«Lo ammiriamo e gli vogliamo bene», ha detto Delpini di don Riboldi. L’omelia è stata il racconto di «perché don Mario è oggi felice nella Gloria di Dio». Tre motivi, ha detto l’Arcivescovo. Il primo, «perché don Mario ha trovato nel Vangelo la sua regola di vita, pensando solo agli altri. Ha fatto il bene in povertà, vivendo insieme a voi» e si è sentito dire da Dio “Vieni, perché ti sei curato di me”, nell’eco del brano di Vangelo di Matteo ascoltato che recitava “Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato”. «Ecco perché ora don Mario è felice». Poi, ha aggiunto l’Arcivescovo, «ha imparato la lingua sinti per potervi raccontare il Vangelo, le vite dei Santi, il catechismo. L’impegno con cui ha prodotto libri mi dice che aveva un vero desiderio di comunicare e di ascoltare gli altri senza metterli in imbarazzo». E il terzo motivo per cui ora «don Mario è felice con Dio nella Gloria della Trinità», secondo Delpini, risiede «nel suo interesse per i Santi rom e sinti e per le vocazioni, cammini verso la santità». Don Mario «è oggi felice nella Gloria di Dio per questi tre motivi: perché ha vissuto la carità, perché è riuscito a comunicare, perché ha contemplato la santità e ora, insieme a tutti i santi, è con noi, ci consola, ci accompagna, ci incoraggia».
La messa presieduta da monsignor Delpini è stata concelebrata dal parroco don Vittorino Zoia, da padre Luigi Peraboni, da don Marco Frediani e da due sacerdoti, di Bollate e di Pavia, che seguono la Pastorale dei rom e dei sinti. Il coro è stato affidato a una ventina di bambini e ragazzi, accompagnati da chitarre.
«Ci tenevo molto a questa Messa – ha detto al termine Delpini, prima di unirsi alla piccola festa organizzata nel campo – perché don Mario è stato una figura straordinaria nel clero di Milano, sia per il suo stile e la sua intelligenza nel ministero, che per la competenza nella cultura dei sinti».