Nel ricordo dell’evento di Assisi nel 1986, il Forum milanese ha organizzato alla Statale un evento articolato tra interventi, letture, riflessioni e brani musicali. L’Arcivescovo ha introdotto il momento finale di raccoglimento corale: «Fate regnare la luce tra la terra e il cielo e tra i popoli»
di Annamaria
Braccini
Riflettere e pregare insieme sui temi del dolore e della morte, della vita e della speranza, rileggendo ciò che è accaduto nei giorni della pandemia, per essere migliori e costruire un futuro più umano. Nello “Spirito di Assisi” – a 35 anni esatti dalla preghiera interreligiosa per la pace voluta da san Giovanni Paolo II -, a Milano i rappresentanti delle cinque religioni aderenti al Forum (induista, cristiana, buddhista, musulmana ed ebraica) si sono ritrovati volutamente in un luogo laico per eccellenza della città come l’Università degli Studi, per un evento atteso e rimandato da oltre un anno. Con il titolo «Il cuore del mare. Riemergere dal Covid», l’incontro, articolato in due momenti – il primo nell’Aula Magna e il secondo nel chiostro settecentesco -, è stato giocato su più registri, dalla parola alla musica, dalla recitazione alla declamazione di versi sacri delle diverse tradizioni, mentre sullo schermo alle spalle del palco scorrevano immagini marine e di una grande balena, in riferimento alla vicenda biblica di Giona.
Morte e rinascita
Le note di Bach, eseguite dal virtuoso Francesco Melis, la lettura di brani del capitolo XXXVIII dei Promessi Sposi, con l’evocativo racconto della peste, e il saluto del rettore dell’Università, Elio Franzini, hanno aperto la serata, condotta dalla pastora Daniela di Carlo della Chiesa valdese. Accanto all’Arcivescovo e agli altri rappresentanti religiosi, presenti anche le istituzioni con il prefetto, Renato Saccone, il vicepresidente del Consiglio regionale Carlo Borghetti e la vicesindaco di Milano Anna Scavuzzo.
«Sono onorato che abbiate scelto la nostra Università per questa serata. Questo era un grandissimo ospedale che operava ai tempi della peste narrata dal Manzoni e che ha subito gli insulti del tempo e delle guerre degli uomini – sottolinea Franzini -. Oggi vedendo come siamo si capisce bene cosa significa rinascita: rinascere come Università e rinascere come ospedale universitario. Dobbiamo pregare per i morti, ma soprattutto per i vivi, perché si possa recuperare il senso della sacralità della vita in questa grande tragedia della storia. Avere scelto un ateneo sorto su un antico ospedale e già un segno».
Poi, le testimonianze di Pujadevi dell’Unione Induista Italiana Sanatana Darma Samgha che auspica «una nuova alba dopo la notte del Covid vissuta con una nuova consapevolezza» e di Lama Michel Rimpoche dell’Associazione buddhista Kunpen Lama Gangchen che, commosso, ricorda il suo padre spirituale scomparso a causa della pandemia: «È stato un momento particolarmente forte, ma che mi ha anche dato un profonda gratitudine per ciò che ho ricevuto. La sofferenza e la morte sono i migliori incentivi a pensare. Non è un problema morire, ma vivere male, veder passare i giorni senza mettere energie su ciò che veramente conta. Non vogliamo tornare come prima, ma migliori».
Per i cristiani don Carlo José Seno esegue al pianoforte il secondo e il terzo movimento della Appassionata di Beethoven, da lui composta a 34 anni, quando stava per con perdere l’udito. Sonata in cui si intravvedono tutto il turbamento del musicista e il suo oscillare tra serenità, scoraggiamento e voglia di andare avanti. Una parafrasi, insomma, della vita ai tempi del Covid. Particolarmente suggestive anche le sonorità eseguite proposte, con lo strumento tar, da Fakhraddin Gafarov, direttore del Conservatorio di Baku in Azerbaijan.
Mahmoud Asfa, presidente del Coordinamento della Casa della Cultura Islamica di Milano, evidenzia: «Ci credevamo onnipotenti e invece scopriamo di essere deboli uomini, che possono essere sconfitti da un piccolo virus che ha fatto oltre un milione di morti. Se abbiamo capito qualcosa, mettiamoci insieme a sconfiggere il Coronavirus e tutti i virus del cuore come le lotte e le inimicizie. Siamo tutti nella stessa barca, migranti nei nostri dubbi e nelle nostre paure. Il nemico non è l’altro essere umano: è ora di camminare insieme, con rispetto reciproco, perché tutti gli esseri umani sono interessati al bene comune, come dice il Corano. Se ognuno farà la sua parte, insieme troveremo una nuova via per una nuova convivenza e ripartenza e sarà un buon inizio».
Parole cui fa eco il Rabbino capo di Milano, rav Alfonso Arbib che si sofferma sul libro biblico di Giona, dal cui secondo capitolo è ripreso il titolo dell’incontro. «Giona viene inghiottito dalla balena, perché fugge dalla missione affidatagli da Dio di andare a Ninive. Ma poi ne viene rigettato. Questo significa che ognuno di noi ha una missione a cui non può sfuggire e, se si fugge, Dio può parlare anche attraverso la sofferenza. Sofferenza che è, però, salvezza. Giona dal pesce viene salvato seppure prova dolore, perché non crede alla conversione di Ninive, non crede alla sua teshuvà. Il messaggio è che non c’è niente di irrimediabile e, infatti, Ninive cambia. Non tutto è deciso, l’uomo può scegliere. Finché c’è la luce dell’anima si può aggiustare noi stessi e il mondo. Dal periodo terribile che abbiamo vissuto dobbiamo trarre questo insegnamento».
Pregare e ricordare
Poi, il cammino in silenzio verso il chiostro immerso nell’oscurità della sera con al centro la suggestiva luce delle candele che ogni rappresentante accende dopo aver recitato una preghiera della propria tradizione. Un momento, questo, dedicato a «Pregare per i vivi ricordando i morti», introdotto dall’Arcivescovo: «Sentiamo il gemito, il sospiro della città. I morti sono come rimasti impigliati nei gemiti impossibili: lasciate partire i morti perché possano raggiungere la pace e darci pace, portate a buon fine ciò che è rimasto in sospeso; non impedite ai bambini di nascere perché avete troppa fretta e paura, perché siete troppo preoccupati per voi stessi. La città geme e sospira – ha proseguito – e dice: fate regnare la luce tra la terra e il cielo, tra i popoli che la abitano, perché in questa città si possa respirare, giocare, lavorare, evitando l’inquinamento assurdo e i pericoli sciocchi. Fate regnare la pace. È per questo che adesso non ci resta che pregare».
Infine don Giampiero Alberti, memoria storica del Forum delle religioni, esprime l’impegno comune per il bene della città. «Vogliamo imparare una volta di più ad approfondire la relazione tra le nostre comunità nella reciproca accoglienza, affrontando tematiche che stanno a cuore alla società civile e promuovendo la libertà di culto contro ogni forma di discriminazione religiosa. Così la primavera potrà fiore anche nella città degli uomini».