Dalle testimonianze raccolte dai preti ambrosiani in pellegrinaggio, le contraddizioni di una fascia d’età combattuta tra un forte nazionalismo e il desiderio di integrarsi con l’Europa, il riconoscimento dell’importanza di Dio e una scarsa pratica religiosa
di Davide
MILANI
La seconda giornata del pellegrinaggio a Kiev dei preti ambrosiani dei primi 10 anni di ordinazione è stata caratterizzata da due incontri significativi: quello con l’associazione Emmanuel (che con i fondi del programma “Il Papa per l’Ucraina” sostiene le popolazioni del Donbass nell’est del Paese) e con una rappresentanza di giovani della città.
Tre universitari cattolici di Kiev (Yatoslav, Bogdan, Natalia) hanno dipinto il ritratto dei loro coetanei, raccontando così la propria esperienza nella società e nella chiesa. Sono giovani che, mentre studiano e lavorano, vivono la fede insieme all’impegno nel volontariato (tra gli scout, sulle ambulanze, per le missioni educative nelle zone di guerra…).
Sono 11 milioni le persone tra i 14 e i 36 anni. Per molti aspetti simili agli occidentali, con lo stesso disinteresse per la politica, la voglia di famiglia (specie le ragazze) e di affermazione lavorativa (soprattutto i maschi). Fortemente attaccati all’identità nazionale ucraina, ma nello stesso tempo desiderosi di una più decisa integrazione europea e disponibili a emigrare pur di realizzare i loro obiettivi. Una voglia di Europa che in realtà nasconde il desiderio di evadere dal soffocante clima post-sovietico. La volontà di lasciare il Paese è motivata anche dalla bassa qualità della scuola (pressoché solo pubblica) nonostante l’altissimo tasso di laureati (86%dei giovani). E se da una parte riconoscono l’importanza di Dio e si sentono fortemente appartenenti a una confessione religiosa, dall’altra registrano una bassissima partecipazione al culto. Con delle differenze geografiche: nella parte orientale del Paese, non essendoci chiese, i giovani non hanno pressoché alcuna educazione religiosa.
Sono stati gli stessi giovani a mettere in luce la fragilità delle famiglie (la metà delle quali si rompe entro i primi dieci anni di matrimonio), l’insofferenza per gli immigrati asiatici e la triste disponibilità di molte donne a prestarsi per la maternità surrogata.
A tracciare il bilancio degli incontri della giornata è stato il vescovo ausiliare monsignor Paolo Martinelli, che ha tenuto l’omelia nella celebrazione eucaristica per la pace presieduta dall’Arcivescovo monsignor Mario Delpini: «Abbiamo visto la tribolazione, la gioia, la fatica, la guerra, insieme a testimonianze di gioia e di carità, di pace – ha ricordato Martinelli -. Quanto vediamo qui interpella il nostro essere sacerdoti. Gli incontri di oggi ci cambiano perché guardare l’amore ci cambia. La missione di Gesù tocca anche la nostra vita di preti: lasciarsi prendere, mandare, inviare, istante dopo istante, insieme a colui che ci manda, insieme a coloro con cui siamo mandati».
A concludere la giornata, due ore di scambio cordiale e franco tra i giovani preti e l’Arcivescovo sul modo di essere prete, lo stile e i tempi del ministero, i passi in atto nella Chiesa ambrosiana, gli scenari futuri, il rapporto con la società.