Nella prima giornata del pellegrinaggio in Ucraina, nella chiesa di Sant’Alessandro i giovani preti ambrosiani sono stati ricevuti dal Vescovo latino, che ha descritto i drammi del passato e i travagli del presente. Nella riflessione dell’Arcivescovo, l’impegno a lavorare per il Sinodo minore, la disponibilità alla riforma del presbiterio e l’invito ad allargare gli orizzonti
di Davide
MILANI
Ci avevano fatto un planetario, ai tempi dell’Unione sovietica, nella chiesa latina di Sant’Alessandro di Kiev. «Si veniva qui a vedere le stelle, ma avevano reso impossibile vedere oltre, cercare Dio», spiega il Vescovo latino di Kiev Vitaliy Krivitskiy. Avevano progettato di annullare l’esperienza della fede cristiana in Ucraina, ma non ce l’hanno fatta: «Per il popolo ucraino la persecuzione era esperienza abituale fino a qualche decennio fa, così come era naturale nell’esperienza della prima comunità cristiana. E se anche oggi ci perseguitano significa che seguiamo il Signore».
Parla con semplicità e disinvoltura di persecuzione, il Vescovo di Kiev, nell’omelia agli oltre 100 giovani preti della diocesi di Milano giunti nella capitale ucraina nella mattinata di lunedì 16 aprile per l’annuale pellegrinaggio organizzato dall’Ismi e dalla Formazione permanente del clero. È un’esperienza che – nonostante la sua giovane età – ricorda bene, così come la ricordano i fedeli che nella chiesa che fu planetario partecipano alla Messa concelebrata assieme all’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, al Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, al Vescovo ausiliare monsignor Paolo Martinelli e agli altri sacerdoti ambrosiani.
«Cari fratelli che siete venuti da Milano, benvenuti nella terra dei martiri: ogni metro di questo suolo parla del sacrificio dei cristiani. Ma le persecuzioni non sono terminate, anzi oggi avvengono secondo modalità differenti. Non ci siamo ancora ripresi da quelle sovietiche che stiamo affrontando altre terribili persecuzioni, quali il materialismo o la cancellazione dell’idea di peccato»:parole che scuotono i preti ambrosiani ordinati negli ultimi dieci anni, giunti in questa terra di confine, ex Repubblica sovietica oggi indipendente, per «ricercare una spiritualità dell’ospitalità».
Ospitalità che il gruppo ambrosiano ha sperimentato grazie anche all’azione del Nunzio apostolico monsignor Claudio Gugerotti, molto attivo per l’organizzazione del viaggio, che nel pomeriggio ha spiegato la situazione socio religiosa del Paese: «L’Ucraina, terra di passaggio di diversi popoli, è stata segnata dal battesimo della Russia e dalla conversione al cristianesimo – ha spiegato Gugerotti -. Ma questo Paese grande due volte l’Italia, molto frammentato, composto da 120 nazionalità, attratto sia dall’Europa, sia dalla Russia, vive ora un forte situazione di povertà, a causa delle oligarchie che si spartiscono l’economia nazionale e la diffusa corruzione. Il tutto in un’identità culturale che pare caratterizzarsi quasi solo per la contrapposizione con i Paesi confinanti».
A rendere tutto ancor più complicato le lacerazioni dentro il mondo ortodosso, preso tra la fedeltà al Patriarcato di Mosca e quello autoproclamato e alternativo di Kiev. Cosi come le fatiche nei rapporti tra i greco-cattolici e i cattolici di tradizione latina. E poi le ferite causate dalle violenze, dai rapporti ancora tesi con la Russia, come testimoniano le foto delle vittime esposte sulla via che conduce a piazza Maidan, dove nel 2014 84 persone sono morte negli scontri tra gli insorti del popolo ucraino e l’esercito del governo filo-russo. «Il popolo ucraino è comunque un popolo cristiano – aveva detto il ministro degli Esteri ucraino Pavlo Klimkin accogliendo il gruppo milanese -. Spero possiate portare in Italia un buon ricordo della nostra Nazione».
Ma già venendo qui i preti ambrosiani portano con loro la conoscenza del popolo ucraino, molto presente – con i suoi immigrati – nelle comunità in cui i giovani sacerdoti svolgono il loro ministero. Ed è proprio da qui che è iniziata la riflessione di monsignor Delpini, che nel pomeriggio ha spiegato le tre linee guida del pellegrinaggio: «Questo viaggio ci ricorda e ci aiuta a prendere maggiore consapevolezza che siamo Chiesa dalle genti, e cosi lavorare con sempre maggiore decisione al Sinodo minore». Il secondo tema che l’Arcivescovo indica ai giovani sacerdoti per questi giorni è «la disponibilità alla riforma del presbiterio attraverso la via della santità. Questo pellegrinaggio dice la nostra appartenenza a un presbiterio, dice che la fraternità contribuisce alla sua edificazione». Infine, raccomanda Delpini, «qui ci viene rivolto l’invito a curare la formazione culturale, ad allargare gli orizzonti. Occorre non lasciarsi assorbire solo dall’ambito in cui lavoro, esiste anche la Chiesa universale che dobbiamo conoscere per non essere travolti dalla vita quotidiana, per non restare immersi nel particolare».