L'Arcivescovo eletto in visita ai "fidei donum" diocesani riflette su cosa dicono queste genti e terre a Milano e alla Chiesa ambrosiana

di Mario Enrico Delpini
Arcivescovo eletto di Milano

Delpini Brasile
Con il vescovo Carlo Verzeletti e don Davide D 'Alessio

Il nostro viaggio ha come scopo quello di far visita ai preti diocesani “fidei donum”: don Arturo Esposito, don Pier Angelo Roscio, don Mario Magnaghi, don Daniele Caspani che collaborano con la Diocesi di Grajau nel Maranhão e don Davide D’Alessio che collabora con la Diocesi di Castanhal e con la Facoltà Teologica di Belem. È un viaggio molto breve e quindi non consente né una lettura della situazione né una valutazione sulla vita e le scelte di questa porzione della Chiesa brasiliana. Tuttavia se si sosta un poco in ascolto si raccolgono alcune confidenze. Infatti le persone parlano e non sempre con le parole, le pietre parlano, le foreste e le piantagioni parlano, le strade parlano. Insomma tutto ha una voce e la terra racconta le sue storie anche a visitatori con i giorni contati come noi.
Che cosa dicono queste genti e queste terre a Milano e alla Chiesa ambrosiana? Dicono grazie! Il ricordo delle imprese dei Padri Cappuccini infatti è scritto in tutto il Maranhão. In particolare risuonano in benedizione i nomi di fra Daniele da Samarate, di fra Alberto Beretta e di sua sorella  santa Gianna Beretta Molla alla quale sono dedicate chiese e cappelle un po’ dappertutto. Risuonano in benedizione i nomi di cappuccini chiamati all’episcopato in diocesi sparse nel Maranhão che devono a cappuccini di origine milanese costruzioni, organizzazione e una eredità di magistero e di testimonianza. Non solo il ricordo di esperienze passate che hanno segnato la storia della Diocesi di Grajau: i preti ambrosiani presenti sono circondati di ammirazione, venerazione e di evidente gratitudine. Ogni volta che si prospetta un cambiamento, un trasferimento, una sostituzione la gratitudine si fa canto e rammarico, lacrime di rimpianto e invocazione di prolungamento di una presenza di cui non si vede come si possa fare a meno. E su a Nord, nella Diocesi di Belem, la memoria di Marcello Candia e di mons. Aristide Pirovano più che nella lapide ricordo è scritta nell’opera di assistenza dei lebbrosi che i padri del don Calabria continuano con professionalità e dedizione ammirevole. E gli studenti della Facoltà teologica di Belem riconoscono nell’insegnamento di don Davide, come in quello di don Mario Antonelli prima di lui, un contributo che porta le tracce di una “scuola” di provenienza, oltre che delle doti personali. Ecco che cosa dicono anche al visitatore affrettato queste genti e queste terre: dicono grazie! Dicono: Abbiamo bisogno di voi! Le comunità, che si contano a decine, dove il prete passa quando può invocano di non essere dimenticate, perché nella foresta o nella pianura sconfinata non si perda la memoria dell’eucaristia, risuoni una parola che offra consolazione e speranza di vita eterna, sia offerta una testimonianza che sottragga a un destino di rassegnazione e apra a una responsabilità di iniziativa. Le istituzioni create dalla intraprendenza ambrosiana, le scuole, gli ospedali, le cappelle costruite là dove si arriva solo con la testardaggine del missionario invocano una presenza: non principalmente per un aiuto economico che venga da chi sa dove, quanto per una iniezione di fiducia che aiuti la gente ad avere stima di se’ e a far fronte. L’impressione, infatti, è che, dentro dimensioni così enormi di spazio e sfidate da prepotenze così sfacciate di sfruttatori e corruttori, le persone buone, oneste, semplici, si sentano così smarrite e impotenti da convincersi che l’unica via praticabile sia quella della rassegnazione. E che il mondo continui ad andare avanti come è sempre andato: guai ai poveri!
Forse potrà risuonare anche nelle foreste più impenetrabili e alle distanze più irraggiungibili, come negli uffici più inaccessibili la parola evangelica inaudita e sconcertante: guai a voi ricchi!
Dicono: Coraggio! Se la povera gente che si raduna in cappelline fatte di affetto e di miseria ha voglia di cantare, di abbracciarsi, di fare festa per onorare la Madre di Dio, per accogliere la grazia di una Messa, per festeggiare il prete di passaggio, allora forse si può cantare e abbracciarsi e fare festa anche là dove la Messa c’è tutti i giorni.
Con quale coraggio potrebbe lamentarsi un cristiano in  Diocesi di Milano? Avrà mai sentito parlare della parrocchia di Arame, nel Maranhão, grande come la Diocesi di Milano, dove due preti di Milano sono a servizio di una settantina di comunità. Coraggio, Chiesa di Milano, ringrazia per quello che hai! Se il vescovo amico confida la sua gioia perché dopo anni potrà ordinare un prete, uno solo, per adesso, e così anche la gente di quel villaggio lontano potrà sentire forse due volte all’anno la parola del perdono e della consacrazione, forse anche il vescovo di Milano potrà dire alla sua gente: ringraziate per i molti preti che sono stati presi a servizio proprio per voi e per tutti i giorni dell’anno! Coraggio, Chiesa di Milano, conserverai la fede e potrai partecipare alla Messa anche domenica che viene e proprio nella chiesa sotto casa! Se per l’organizzazione della festa e la preghiera del rosario e la camminata per la famiglia i gruppi di laici si appassionano all’impresa e non si sottraggono alle fatiche e sono onorati di farsi avanti, anche se il prete potrà arrivare solo all’ultimo momento, forse anche là dove una tradizione decennale si è abituata ad aspettare che sia il prete a fare tutto e se non fa lui, le cose non si fanno, si può immaginare una comunità più vivace, più corresponsabile.
Coraggio, Chiesa di Milano, hai molte risorse da mettere a frutto! Ecco, nei lunghi e rapidi trasferimenti sulle strade brasiliane mi sembra di ascoltare, portate dal vento, cantate dagli uccelli, raccontate da volti sorridenti e buoni, alcune parole che forse sono preziose per la nostra Chiesa: grazie! abbiamo bisogno di voi! Coraggio! Chissà, forse prima di arrivare a casa, ascolterò altre parole e non mancherò di farmi eco delle confidenze che mi giungono più come frammenti che come discorsi, visto la mia incompetenza in portoghese.

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