L’Arcivescovo racconta il suo recente viaggio nell’isola centramericana, dove ha fatto visita ai tre sacerdoti ambrosiani “fidei donum”. Tra limiti e ristrettezze, la realtà di una comunità animata dal «desiderio di condividere la propria fede»
di Luisa
BOVE
«Una Chiesa esigua, ma con la fierezza del messaggio cristiano». È questo in sintesi ciò che ha colto monsignor Mario Delpini, Arcivescovo di Milano, nel suo recente viaggio a Cuba, dove si è recato in visita ai tre preti ambrosiani in terra di missione. «Sono lì da pochi mesi e collaborano con la Diocesi di Santiago de Cuba, la più antica del Paese», precisa. Si tratta di don Ezio Borsani, che si trova a Contromaestre, mentre don Marco Pavan e don Adriano Valagussa sono a Palma Soriano. Si tratta di «parrocchie gigantesche rispetto ai nostri parametri, con più di 100 mila abitanti ciascuna, anche se il gruppo dei cattolici è molto ridotto, una minoranza esigua rispetto alla popolazione». Durante la sua breve visita, dal 5 al 9 aprile, Delpini ha trascorso qualche giorno con i fidei donum, ha incontrato il Vescovo di Santiago e ha pranzato a casa sua con altri sacerdoti locali.
Un viaggio «interessante» anche per conoscere la Chiesa sorella, anche se in poco tempo si è fatto solo un’idea «parziale e rapida». «Seppure le persone che frequentano la Chiesa aumentino di numero alle Messe domenicali e nelle attività parrocchiali – dice ancora Delpini -, rappresentano una piccola minoranza in un contesto di indifferenza», senza contare che sono presenti sul territorio anche comunità di altre confessioni cristiane e gruppi come i Carismatici e i Pentecostali.
«Abbiamo visitato una piccola comunità, povera, le cui risorse per mantenere la chiesa e le attività sono molto esigue. Per la maggior parte i suoi progetti pastorali sono finanziati da altre Chiese del mondo, quindi dipende dalla solidarietà cattolica che la pone nelle condizioni minime per esercitare il ministero», assicura l’Arcivescovo di Milano. La prima necessità è quella di poter viaggiare, perché sull’isola le auto sono rare e acquistarne una richiederebbe una spesa spropositata per le poche risorse della comunità. In questo momento hanno bisogno anche di strumenti di comunicazione.
«Un aspetto che mi è sembrato molto interessante si riassume con la parola spagnola missionar, che vuol dire “essere in missione” – spiega Delpini -. Per un gruppo di fedeli, anche giovani e anziani, fare la missione ordinaria significa andare di casa in casa a invitare la gente a partecipare alle celebrazioni della Settimana Santa o ad altri momenti di preghiera». Un’autentica esperienza missionaria per chi «si sente mandato a bussare a ogni porta» e che ha fatto cogliere in loro «l’idea della fierezza di essere incaricati di portare con semplicità un messaggio cristiano. Questo desiderio di condividere la propria fede diventa gesto ordinario, cordiale, benevolo verso le persone, senza invadenza né proselitismo, perché la Chiesa ha da offrire solo il Vangelo e il Signore».