In Duomo, si è svolta la Messa nel centenario della morte del beato cardinale Andrea Carlo Ferrari, presieduta dall'Arcivescovo e concelebrata da altri 17 Vescovi

di Annamaria Braccini

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L’Arcivescovo di Milano e metropolita di Lombardia, 17 altri Vescovi tra ambrosiani, lombardi e Pastori legati alla vita e alla missione episcopale del Beato cardinale Andrea Carlo Ferrari di cui, in Duomo, insieme al popolo di Dio si fa memoria.
«Vedere i Vescovi della Regione Ecclesiastica Lombarda in questa occasione è un momento carico di profonda valenza simbolica. Pur nell’austerità di questo nostro tempo, sentiamo il dovere di esprimere vera gioia», dice, nel suo saluto di benvenuto, monsignor Gianantonio Borgonovo, arciprete della Cattedrale. «Una gioia evangelica, per il totale riconoscimento di un vero profeta e discepolo del Signore, incompreso e misconosciuto in vita e, ora, maestro ammirato come intelligente anticipatore di quanto il Concilio Vaticano II avrebbe solennemente proclamato. Definito da san Giovanni XXIII un autentico santo, molto prima del 10 maggio 1987, data della sua beatificazione», aggiunge Borgonovo, citando ad uno ad uno i Vescovi presenti, tra cui monsignor Enrico Solmi, vescovo di Parma, nel cui territorio si trova Lalatta «piccola frazione dove nacque il figlio del falegname Giuseppe Ferrari»; monsignor Massimo Camissasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla e monsignor Oscar Cantoni, vescovo di Como, le due sedi episcopali rette dal Beato prima di passare a Milano di cui fu guida dal 1894 al 1921.
Dopo la proclamazione delle Letture, tratte dal Lezionario dei Santi per un vescovo della Chiesa milanese, l’omelia – per la quale monsignor Delpini, dice di aver preso spunto sostando presso l’altare che, in Cattedrale, conserva le spoglie del beato Cardinale – si fa quasi dialogo diretto con il predecessore. E, così, nelle parole dell’Arcivescovo, pronunciate una sera del secondo decennio del terzo millennio, risuonano quelle, di 100 anni fa, del Pastore ambrosiano che visse in una terra segnata dalla tragedia della guerra e dalla “Spagnola” che mieté nel mondo 50 milioni d persone.
«Ho vissuto il dramma della guerra, l’arrivo di poveri profughi stremati dopo Caporetto. Ho visto che cos’è la miseria. Ho visto come sono generosi i milanesi».
Ferrari, certo, disse anche questo nel 1917, ma al suo successore – che lo racconta – non ha suggerito tali espressioni, come nemmeno ha fatto risuonare, come un rimprovero, la denuncia «per l’immoralità dilagante, la stampa anticlericale, l’emarginazione della religione dalle scuole, la corruzione dei giovani». E neppure ha ricordato il suo impegno per fondare un giornale cattolico unitario, per lo sviluppo dell’Azione Cattolica, per la promozione dell’Università Cattolica, per l’unificazione e la qualificazione del Seminario».
E, ancora, non ha neanche parlato della presenza tra il popolo che vide il Beato compiere ben 4 volte la Visita pastorale e consacrare moltissime chiese.
Altro è ciò che il cardinale Ferrari avrebbe detto e che, quindi, il vescovo Mario propone, con la sua voce.
«Se considero il ministero del Vescovo e la missione della Chiesa, se voglio dire una parola che raccolga la mia lunga, impegnativa, tribolata ed entusiasmante esperienza di Pastore di questa santa Chiesa, che ho amato con tutte le mie forze, io suggerisco di cercare di essere amabile. Non parole dure, ma accoglienza benevola, non rimproveri aspri, ma inviti accorati, non reazioni aggressive, ma risposte gentili. Se vi trovate in un tempo tribolato per la pandemia, come è successo a me durante gli anni delle guerra e nella epidemia della spagnola, non preoccupatevi solo di voi stessi, siate amabili e solleciti nel prestare aiuto e nella prossimità a chi soffre di più».
Amabili anche nel difficile confronto con chi muove critiche «amare e arrabbiate» o quando «avvertite quella specie di disprezzo di chi vi ritiene insignificanti».
«Non affannatevi a dimostrare quanto siete importanti per la società, siate amabili, continuate a fare bene il bene, a credere nella verità di cui dovete essere testimoni e a dimostrare con la pace, il sorriso, la bontà, l’amabilità della verità. Quando sentite lo strazio degli abbandoni e avvertite i danni della corruzione che insidia anche il popolo di Dio e rovina i giovani, non arrabbiatevi, non deprimetevi, continuate a essere amabili, a stare in mezzo al popolo, a salutare con affetto anche chi vi ignora, a soccorrere con generosità anche coloro che vi hanno fatto del male e hanno detto male di voi e ora si trovano nel bisogno. Quando siete circondati da pretese impossibili e non potete rispondere in modo adeguato ai bisogni della gente e della società, non scoraggiatevi, non lasciatevi prendere da una improduttiva frenesia, continuate a fare amabilmente quello che potete e fidatevi di Dio».
E di fronte alle divisioni «non pensate di risolvere i problemi con la durezza dell’autorità: piuttosto cercate di attirare tutti all’unità; se avete l’impressione di essere incompresi e trovate ostacoli, diffidenze, resistenze, non lasciatevi troppo ferire, non siate risentiti continuate a essere amabili, a spiegarvi con semplicità, a cercare di soffrire senza far soffrire».
Poi, al termine, il ringraziamento per chi porta avanti l’Opera fondata dal cardinal Ferrari stesso e che ancora oggi ne porta il nome, per aiutare i più poveri e soli, i “carissimi come lui li chiamava . Arriva anche un annuncio: «A Dio piacendo, a settembre faremo un pellegrinaggio diocesano, con i malati, a Lourdes per ricordare l’ultimo pellegrinaggio del cardinal Ferrari, prima della sua morte, sempre a Lourdes».
Infine, la breve processione verso l’altare dove è sepolto il Beato, mentre vengono intonate le Litanie dei Santi, l’incensazione e la benedizione da parte del vescovo Mario, concludono la Celebrazione.

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