Nel 1902 il Cardinale guidò 230 fedeli ambrosiani nel primo pellegrinaggio italiano ai luoghi santi. Un’esperienza compiuta con convinzione ed entusiasmo, poi raccontata in un diario di viaggio che divenne la Lettera pastorale «Jerusalem»

di Annamaria Braccini

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Un'immagine storica del pellegrinaggio

«Oggi 17 settembre alle 15, a bordo del piroscafo l’Indipendente, partì per la Terra Santa, il pellegrinaggio milanese condotto dal cardinale Ferrari. I pellegrini sono 230, fra cui 50 signore e signorine, 120 preti, 48 borghesi. Fra essi c’è una larga rappresentanza dell’aristocrazia milanese». Con queste parole il Corriere della Sera del 18 settembre 1902 dava notizia, in prima pagina, della partenza da Napoli del pellegrinaggio ambrosiano, sottolineando così la portata e l’importanza dell’avvenimento. A firmare il pezzo- come tutti i numerosi altri inviati nel corso del viaggio -, era l’inviato speciale Luigi Barzini, giornalista ancora oggi tra i più grandi d’Italia.

L’evento, d’altra parte, meritava la più assoluta attenzione, perché rappresentava il primo pellegrinaggio italiano – tra gli altri si era imbarcato anche un santo, don Luigi Guanella -, tanto che lo stesso Ferrari, avendo voluto tenacemente l’iniziativa – osteggiata peraltro dal governo francese, che aveva la responsabilità del Protettorato cattolico in Oriente -, a suo modo ne diventò cronista (ci si passi il termine). Infatti il 21 novembre 1902, a un mese esatto dal ritorno dei pellegrini in Italia, pubblicava la sua Lettera pastorale Jerusalem: un diario di viaggio concretissimo e spirituale nella terra del Signore e a Gerusalemme, città, amata, desiderata, finalmente contemplata il 2 ottobre, con le lacrime agli occhi.

Molte le tappe sui luoghi santi, precedute da soste ad Atene e Beirut, con una breve deviazione a Damasco: da Nazareth a Cana, dal lago di Tiberiade a Cafarnao, dal Tabor alla vallata di Esdrelon e alla Samaria fino a Gerusalemme, dove i pellegrini rimasero 12 giorni. E poi le escursioni: Betania, Ain Karem, Emmaus (dove Ferrari consacrò la nuova Basilica), Gerico, Betlemme… Un viaggio di 34 giorni massacrante, percorrendo strade spesso a dorso di mulo, ma compiuto con entusiasmo dall’Arcivescovo, convinto – in largo anticipo sulla mentalità diffusa al tempo, anche tra il clero-, della necessità di recarsi in Terra Santa, alla radice santa, con la propria gente. Idea condivisa da uomini come monsignor Giacomo Radini-Tedeschi – a lui si deve la prima intuizione della possibilità del pellegrinaggio nel 1901-, vescovo di Bergamo, e dal suo giovane segretario di allora, don Angelo Roncalli, futuro san Giovanni XXIII. Tanto che, visto il successo del viaggio, l’Arcivescovo fondò il Comitato Pro Palestina che, nel 1905, si fuse con l’Opera dei Pellegrinaggi pro Palestina e Lourdes, la cui presidenza fu affidata a Ferrari, stesso sotto la direzione, non a caso, di Radini-Tedeschi.

Se non si può raccontare in poche righe giorni così straordinari, basti un’unica espressione che torna nella Lettera pastorale e che il Cardinale oggi beato pronunciò a Milano, al suo rientro, di fronte al popolo in festa: «L’amore di Cristo crocifisso ci ha attratti». Aggiungendo, profeticamente: «si faccia in modo che essendo il primo pellegrinaggio italiano, non sia l’ultimo, ma invece principio di molti altri». 

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