Il presidente della Cei: «Speriamo che si intensifichi la spinta verso il dialogo, almeno un dialogo esplorativo». La Conferenza episcopale invita a celebrare una Messa il 10 marzo per le vittime della guerra

di Maria Michela Nicolais

Il cardinale Matteo Zuppi (foto Siciliani / Gennari / Sir)
Il cardinale Matteo Zuppi (foto Siciliani / Gennari / Sir)

«Speriamo che si intensifichi la spinta verso il dialogo». È l’auspicio espresso dal cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, a un anno dall’inizio della guerra in Ucraina. «Occorre cominciare almeno un dialogo esplorativo», ha spiegato il cardinale a margine della cerimonia di inaugurazione dell’Università Roma Tre, «altrimenti il rischio del nucleare diventa incombente. Speriamo che la diplomazia e le istituzioni percorrano la via, non facile, del dialogo». «Il dialogo non è mai cancellare le responsabilità – ha puntualizzato Zuppi -. C’è bisogno di pace e di giustizia, noi lavoriamo per questo. Se pensiamo che il dialogo e il cessate il fuoco significhino annullare le responsabilità, non c’è altro che la guerra – il monito del presidente della Cei -. La pace è sempre possibile, è difficile ma possibile. Non c’è vita senza la pace e la guerra mette in discussione tutto. La via del dialogo e della pacificazione è possibile per tutti: dobbiamo essere artigiani di pace e architetti di pace. Se diventiamo più artigiani di pace, ci saranno anche più costruttori di pace».

Rischio-Armageddon

«Oggi la questione della pace si pone in termini più allarmanti e con conseguenze globali, fino al rischio di un Armageddon nucleare», il grido di allarme di Zuppi. In particolare, il Cardinale ha stigmatizzato il fatto che la risoluzione del Parlamento europeo che sollecitava l’apertura di un negoziato per la guerra in Ucraina sia stata rigettata con ben 470 voti su 630. «Mi è sembrato il segnale della rinuncia della politica e la negazione di una pace che non sia solo la vittoria di una parte. Non è questa l’Europa, l’Europa che nel 2012 ha vinto il premio Nobel per la pace per il suo never again, cioè il proposito di mai più fare ricorso all’opzione militare dopo la tragedia del secondo conflitto mondiale. Oggi il ripudio della guerra e della violenza, e l’esercizio di una cultura bella della pace sembrano essersi sbiaditi, come il ricordo della seconda guerra mondiale e della Shoah che ne rappresenta la massima ignominia e crudeltà», il monito del presidente della Cei, secondo il quale «sarebbe bello esistesse una Costituzione europea con qualcosa di simile al nostro articolo 11, anche perché le guerre non finiscono mai con la firma degli armistizio e dolori e ferite durano più a lungo».

Il 10 marzo una Messa per le vittime

In una nota odierna la presidenza della Cei invita le comunità ecclesiali a unirsi in preghiera per invocare il dono della pace nel mondo. «Sentiamo come attuale l’appello lanciato sessant’anni fa da san Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris: “Al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può ricostruire nella vicendevole fiducia” (n. 39). Se da una parte è urgente un’azione diplomatica capace di spezzare la sterile logica della contrapposizione, dall’altra tutti i credenti devono sentirsi coinvolti nella costruzione di un mondo pacificato, giusto e solidale. Il tempo di Quaresima ci ricorda il valore della preghiera, del digiuno e della carità, le uniche vere armi capaci di trasformare i cuori delle persone e di renderci “fratelli tutti”».

Aderendo all’iniziativa del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee), la presidenza della Cei invita «a celebrare venerdì 10 marzo una Santa Messa per le vittime della guerra in Ucraina e per la pace in questo Paese. Sarà un’occasione per rinnovare la nostra vicinanza alla popolazione e per affidare al Signore il nostro desiderio di pace. Chiedere la conversione del cuore, affinché si costruisca una rinnovata cultura di pace, sarà il modo in cui porteremo nel mondo quei germogli della Pasqua a cui ci prepariamo».

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