La costituzionalista della Statale di Milano è possibilista circa alcune proposte di riforma della Carta avanzate in campagna elettorale, ma preferisce puntare l’attenzione sulla situazione economica
di Bruno
Cadelli
Semipresidenzialismo alla francese, elezione del premier e altre proposte di riforma costituzionale sono positive perché aprono il dibattito. Tuttavia le vere emergenze sono quelle dettate dalla situazione economica e dall’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Lo sostiene Lorenza Violini, docente di diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano, in un’intervista a Radio Marconi.
Nel dibattito in corso il centrodestra propone un semipresidenzialismo alla francese: il Presidente della Repubblica eletto direttamente dagli elettori detentore del potere esecutivo. Lei è spaventata da questa possibile riforma o pensa possa essere un bene per il Paese?
Non sono spaventata, perché il nostro Paese ha solide radici democratiche. La forma di governo, qualunque essa sia, non può inficiare la struttura valoriale e la storia di un Paese. Ci vogliono i carri armati per fare questo. Che ci sia una proposta di presidenzialismo, da qualunque parte provenga, non deve spaventare, ma indurre a discutere e a comprendere le motivazioni. Queste ultime sono chiare da moltissimo tempo: da sempre sappiamo che la nostra forma di governo parlamentare, pur con tutti i tentativi di razionalizzazione che la Costituzione prevede, porta inevitabilmente a una debolezza dell’esecutivo. Quindi che ci sia una proposta di riforma non mi pare sbagliato. D’altro canto andrei cauta sulle caratteristiche di questa nuova forma di governo, perché non è detto che sia un’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Altri partiti sostengono l’elezione del capo dell’esecutivo o forme miste di interpolazione tra parlamentarismo e presidenzialismo. È un argomento molto tecnico e viene sollevato in un momento in cui si dovrebbe parlare d’altro.
Infatti tra i problemi del Paese emergono in primo piano le questioni economiche. Cosa pensa del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e alla sua attuazione?
Il Pnrr ha una sua struttura ormai abbastanza consolidata e la sua attuazione è cominciata. È stato condiviso e approvato dall’Europa, non è escluso che ci possano essere cambiamenti, ma certamente la struttura base è quella ed è difficile da modificare nella sostanza. Si tratta di un nuovo piano di sviluppo che serve a finanziare un ammodernamento del Paese. Questo nessuno può considerarlo sbagliato».
Dal punto di vista dell’ordinamento costituzionale il Pnrr e il processo di attuazione pongono una serie di interrogativi. Strutture come la cabina di regia stanno avendo sempre più importanza rispetto al Parlamento. È corretta questa riflessione?
Sì, non è sbagliata, va però contestualizzata. Sulla cabina di regia: bisogna immaginare come se si fosse in un’azienda, che deve attuare il budget, un piano di sviluppo. È chiaro che questa attuazione comporta una regia, ci vuole un gruppo abbastanza ristretto di persone che si faccia carico della realizzazione. Questo non può essere lasciato alla dimensione regionale e locale, chiamata, oltre che a beneficiare di questo piano di sviluppo, anche a seguirne le linee direttive. Noi siamo abituati a governare il Paese con le leggi e con l’amministrazione che dà attuazione alla legge. In questo caso c’è un gigantesco piano di potenziamento delle nostre infrastrutture e ammodernamento del sistema. Che ci sia una struttura parallela, a me, cultore di diritto costituzionale, non sembra niente per cui stracciarsi le vesti. Facciamolo invece se i soldi non arrivano, se non vengono spesi bene, se la gente non percepisce l’effettivo miglioramento delle sue condizioni, se i trasporti o la scuola non funzionano meglio.