Un investimento di 100 milioni per migliorare quello che già si fa e introdurre esperienze nuove dove non ci sono ancora. Una scommessa da vincere per il futuro degli studenti

di Alberto CAMPOLEONI

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Alternanza scuola-lavoro. Cosa vuol dire? Nelle linee progettuali del Ministero si tratta, in buona sostanza, di offrire agli studenti della secondaria superiore un’esperienza significativa sui luoghi di lavoro, durante il curricolo scolastico. Un’esperienza guidata e ben normata, che permetta di realizzare modalità di apprendimento flessibili capaci di collegare sistematicamente la formazione in aula con l’esperienza pratica. Questo – nelle intenzioni confluite nella riforma della “Buona scuola” e ora specificate con una apposita Guida operativa trasmessa agli istituti scolastici – dovrebbe permettere di arricchire la formazione acquisita nei percorsi scolastici e formativi con l’acquisizione di competenze spendibili anche nel mercato del lavoro, favorendo tra l’altro l’orientamento dei giovani e valorizzando le loro vocazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento individuali. Inoltre, la proposta di alternanza scuola-lavoro dovrebbe realizzare un collegamento organico tra istituzioni scolastiche e formative, mondo del lavoro e società civile, legando sempre di più l’offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio.

Insomma, il profilo di scuola che si delinea, anche attraverso le previsioni sulle esperienze di alternanza scuola-lavoro è quello di una istituzione sempre più attenta, da una parte, ai suoi protagonisti – cioè i giovani in formazione – e dall’altra al contesto nel quale gli stessi sono inseriti, lanciando lo sguardo oltre l’orizzonte propriamente scolastico, per traguardare le prospettive di orientamento e inserimento lavorativo e, prima ancora, di implementare solide motivazioni allo studio e all’apprendimento.

L’alternanza scuola-lavoro non è una novità nella scuola italiana perché, sia pure con dimensioni e aspettative differenti rispetto ad adesso, è presente da anni nell’esperienza formativa degli istituti superiori. In particolare nell’ambito dell’istruzione tecnica e professionale, in alcuni territori e grazie all’iniziativa e all’inventiva dei diversi contesti territoriali, da anni si sperimentano gli stage in azienda, l’intreccio virtuoso tra esperienza in classe e sul campo, con generalmente un buon ritorno in termini di soddisfazione sia del mondo scolastico, sia di quello imprenditoriale. L’organizzazione, ora, su più vasta scala, con consolidata consapevolezza e norme uniformi condivise dovrebbe contribuire a migliorare quello che già si fa e introdurre esperienze nuove dove non ci sono ancora. Si pensi, ad esempio, ai licei, dove – novità assoluta – è anche prevista l’alternanza, sia pure in misura differente rispetto a tecnici e professionali: in questi ultimi la previsione è che ogni allievo faccia 400 ore totali (20-24 giorni di apprendimento lavorativo l’anno a partire dai sedici anni d’età, si parla infatti di triennio) in un’azienda (pubblica o privata) o in un ente (anche questa è una novità). Per i licei il monte ore si dimezza: 200 ore per triennio.

Il ministro Stefania Giannini ha scritto direttamente agli istituti sottolineando l’opportunità offerta dalla “Buona scuola” e l’investimento di 100 milioni per realizzarla. Parla di “innovazione storica”, il ministro. E si affida alle diverse realtà scolastiche, chiedendo, a fronte degli “strumenti” offerti a tutti, “capacità progettuale e di dialogo col territorio”, “flessibilità e disponibilità” da parte dei docenti.

Per la scuola – e i più giovani – si tratta di una scommessa importante da vincere.

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