L’umore dei cittadini-consumatori sembra davvero cambiato. Per lo Stato maggiori introiti fiscali che possono compensare abbassamenti delle imposte
di Nicola SALVAGNIN
Si sta concludendo un’estate caldissima, quanto a temperature: ciò ha sicuramente favorito il turismo stagionale, che a fine luglio chiude infatti con un fatturato in crescita del 2,1% (quindi gli incassi reali sono stati sicuramente maggiori…). E agosto è stato ancora meglio, con il tutto esaurito al mare come in montagna e nelle città d’arte; settembre infine segnerà numeri da record.
Ma se il sole è stato il protagonista positivo, spingendo gli italiani a fare qualche giorno in più di vacanze, il sole al contempo non fa crescere l’albero dei soldi. Quindi è soprattutto cresciuta la voglia di spendere di più, di uscire da quel senso di timore che ha attanagliato gli italiani negli ultimi anni, gelando i consumi interni e, a cascata, l’intera economia.
Sarà che c’è più ottimismo in giro, sarà che la congiuntura sta effettivamente voltando pagina (il Governo parla di una crescita del Pil dello 0,9% nel 2015), ma i segnali che i timori si stanno lentamente dissolvendo ci sono tutti. La grande distribuzione sta registrando umori positivi (ovviamente confortati dai numeri), dopo che – per la prima volta dal Dopoguerra – i consumi erano scesi rispetto all’anno precedente. E i supermercati sono l’anello finale di una catena che parte dalle fabbriche. In queste ultime – e certamente una grande spinta l’hanno data le agevolazioni contributive previste dal Jobs Act – si assume a tempo indeterminato. Chi monitora il mondo del lavoro, certifica pure che si sta un po’ riducendo il numero degli sfiduciati, di chi insomma non studia né cerca un posto di lavoro. Altro bel segnale. Così come, a livello psicologico, sono bei segnali i ripetuti proclami governativi di voler abbassare certe imposte (a cominciare da quelle che gravano sulla prima casa) che incidono sul portafoglio di tutti.
Certo: godiamo di una congiuntura favorevolissima che aiuta le vele italiane a rigonfiarsi di vento. Benzina e gasolio costano un 20% meno degli anni scorsi, e per molti la spesa per carburanti è voce assai negativa nel proprio bilancio personale e aziendale; i tassi d’interesse sono ai minimi storici, e più giù di così non potranno andare. Il denaro costa quasi nulla, la rateizzazione a tasso zero è possibile sia per chi la propone che per chi ne approfitta; i mutui a tasso fisso stanno sotto il 3% annuo.
Il discorso non è comunque omogeneo, ma a macchia di leopardo. Nel Mezzogiorno è ancora inverno, economicamente parlando. In certe zone del Centronord invece spira già aria “tedesca”. Compito dell’Esecutivo nei prossimi anni sarà sicuramente quello di omogeneizzare lo sviluppo economico di un Paese che, questa volta, rischia veramente di spezzarsi in due: il Trentino Alto Adige marcia a livelli di Baviera e Baden Wuttemberg; la Calabria invece va a velocità nordafricana.
Ma se in definitiva stiamo agganciando il treno di una ripresina, la cosa porta con sé solo conseguenze positive. A cominciare dal fatto che lo sviluppo economico garantisce allo Stato maggiori introiti fiscali (quelli dell’Iva sono infatti in buona crescita), che possono quindi compensare abbassamenti delle imposte, soprattutto quelle gravanti sul lavoro e la produzione. Questo vorrà dire più assunzioni, stipendi più alti, maggiori disponibilità per le famiglie…
Diceva, un milione d’anni fa, il compianto Nino Manfredi: «Fusse che fusse la vorta bbona?».