Il testo prevede misure di assistenza, cura e protezione per le persone con disabilità grave, prive di sostegno familiare. Approvato alla Camera, in attesa dell’ok in Senato
di Gigliola ALFARO
Chi si occuperà di nostro figlio dopo di noi? È la domanda che con angoscia si pongono spesso i genitori di figli disabili. Una domanda alla quale cerca di rispondere la legge “Assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”, approvata nei giorni scorsi in prima lettura alla Camera, con 374 sì e 75 no. Il testo prevede misure di assistenza, cura e protezione per le persone con disabilità grave, prive di sostegno familiare o perché sono venuti a mancare i genitori o perché gli stessi non sono in grado di sostenere le responsabilità della loro assistenza. Viene istituito un Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare destinato, in particolare, ad attivare programmi volti a favorire percorsi di deistituzionalizzazione, di supporto alla domiciliarità in residenze o gruppi-appartamento che riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare e che tengano conto anche delle migliori opportunità offerte dalle nuove tecnologie, al fine di impedire l’isolamento delle persone con disabilità.
Disabilità e povertà
«La legge nel suo complesso rappresenta un obiettivo raggiunto». Ne è convinto Salvatore Pagliuca, presidente dell’Unitalsi, che, però, ha qualche preoccupazione «per il passaggio al Senato, ma soprattutto per il rimando ai decreti ministeriali di attuazione che sono quelli che presentano i maggiori rischi di efficacia». Resta da chiarire, poi, «se il Fondo per il “dopo di noi” sarà solo per strutture che utilizzano fondi pubblici o sarà abbinabile ai fondi privati». Va, comunque, «apprezzato lo sforzo della Commissione Affari sociali di produrre un testo unificato». Riguardo alla previsione del trust (l’affido del patrimonio, ndr.), è uno strumento che «darà modo di strutturare un’accoglienza con una base anche di carattere economico e immobiliare per il sostegno alle persone con disabilità che devono vivere una vita autonoma», ma «è una soluzione che non tocca la maggioranza, ma solo coloro che hanno beni». Su questo aspetto concorda Vincenzo Falabella, presidente della Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap): «La disabilità incide molto sull’economia di una famiglia e le persone con disabilità sono a forte rischio povertà. Il trust è per pochi. Sarebbe stato più opportuno secondo noi rapportare quegli strumenti civilistici già esistenti e alla portata di una platea più ampia, come l’amministratore di sostegno, sul quale è stato approvato un emendamento, ma ugualmente non ci sono molti poteri per questa figura».
No all’istituzionalizzazione
«Dopo tanti anni di silenzio il legislatore pone una questione significativa: la solitudine delle famiglie e la loro ansia sulla sorte dei loro congiunti con disabilità quando loro non ci saranno più», sostiene Falabella, ma «è mancato quel qualcosa in più per dire che abbiamo cambiato rotta».
«Ci aspettavamo all’interno di questo dettato normativo – evidenzia – alcuni riferimenti specifici sui percorsi attraverso i quali arrivare a una deistituzionalizzazione delle persone con disabilità nel nostro Paese. Ci auguriamo che le nostre richieste su questo fronte possano trovare un accoglimento al Senato. Oggi in Italia, secondo i dati Istat, 258mila persone con disabilità o non autosufficienti sono a rischio di segregazione; il 95% vive in un istituto o in una Rsa; solo il 5% in comunità».
Secondo il presidente della Fish, «il cuore di una legge che vada verso il “dopo di noi” deve essere anzitutto la garanzia di sostenere anche un “durante di noi”». «Occorre un sostegno anche alla famiglia che assiste il proprio caro: tante volte ci sono persone costrette addirittura a lasciare il lavoro per questo motivo. Insomma, un intervento complementare al “dopo di noi”», rilancia Giovanni Paolo Ramonda, responsabile generale dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, per il quale «una legge sulla disabilità grave è sempre una legge che si rivolge alle persone più fragili e ai margini della società e quindi va vista con molto rispetto. Il “dopo di noi” è un problema reale». Secondo Ramonda «il fatto che ci sia una legge che preveda una risposta anche da parte dei privati al “dopo di noi” non deve portare a una sostituzione del pubblico, ma a un’integrazione tra pubblico e privato».
Il ruolo delle Regioni
«La legge è un passo avanti nel sistema di welfare che in Italia non è stato del tutto completato». È il parere di don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, per il quale un aspetto da approfondire è «quello del fondo» e del ruolo affidato alle Regioni, che adottano indirizzi di programmazione e definiscono i criteri e le modalità per la concessione e l’erogazione dei finanziamenti, «con il rischio di avere una situazione a macchia di leopardo. Sarebbe necessario un dialogo tra le Regioni in modo da non avere trattamenti disparati a seconda di dove si vive». Purtroppo, «il dettato della legge è molto generico, si tratterà di vedere come ciascuna Regione riuscirà a tradurre in pratica queste forme di sostegno». Un altro punto da chiarire per don Albanesi è quello che riguarda i disabili gravi: «Quando uno rimane solo, la gravità dipende dalla dimensione sanitaria o dalla condizione socio-economica?».