Da trent’anni vive e opera nella capitale e circa le esercitazioni militari che si stanno svolgendo dice: «Credo che si tratti di un grosso abbaiare, non c’è interesse a scatenare una guerra adesso. Ma c’è preoccupazione»
di Maria Chiara
BIAGIONI
Agensir
«Non ci sentiamo l’Ucraina dell’Asia, perché non c’è nessun interesse a scatenare una guerra adesso. L’economia taiwanese si basa sulla produzione dei chip. Si stanno investendo milioni di soldi per velocizzare la ricerca sulle nano tecnologie. È una ricerca che richiede tempo e il tempo non contempla una guerra. Certo, c’è molta preoccupazione e si aspetta che queste esercitazioni militari finiscano il prima possibile».
La voce da Taipei chiede l’anonimato. È un missionario italiano che da trent’anni vive e opera nella capitale di Taiwan. Parla mentre aerei e navi da guerra cinesi hanno attraversato più volte la linea mediana dello Stretto nel secondo giorno di esercitazioni militari su vasta scala scatenate da una Cina furiosa in risposta alla visita a Taipei della presidente della Camera americana Nancy Pelosi. Secondo fonti militari, 22 jet militari cinesi hanno superato la linea mediana dello stretto tra Taiwan e Cina entrando nello spazio aereo gestito dalla difesa di Taipei. Si tratta in particolare di 12 caccia Sukhoi Su-30, 8 Shenyang J-11 e 2 Shenyang J-16. In risposta Taiwan ha fatto decollare alcuni intercettori e ha attivato i sistemi di difesa missilistica.
Le operazioni militari
«Si stanno seguendo le notizie sui media riguardo alle esercitazioni militari che si stanno svolgendo al largo, vicino alle coste della Cina, con incursioni provocatorie – racconta il missionario -. Varie volte sono passati aerei nello spazio aereo di Taiwan. Significa non sopra l’isola, ma attorno, verso le Filippine e il Giappone. Quindi il clima è sicuramente di tensione e sebbene la mira sia Taiwan, anche il Giappone è intervenuto e ha protestato». Irritato dalle critiche rivolte dal Giappone alle manovre cinesi intorno a Taiwan, il Ministero degli Esteri cinese ha convocato l’ambasciatore nipponico, al quale ha consegnato una protesta formale.
La gente a Taipei e in generale sull’isola continua a lavorare e a condurre la vita nella normalità di tutti i giorni. «Anch’io penso che nessuno abbia interesse a far precipitare la situazione adesso – osserva il missionario -. Credo che si tratti di un grosso abbaiare. Anche il Presidente della Cina non ha nessun interesse a muovere acque torbide. A novembre vuole essere rieletto per la terza volta, ma questo richiederà un cambiamento nella Costituzione e all’interno ci sono delle tensioni tra le varie linee di partito».
Taiwan ha sempre rappresentato per la Cina una «prova» di sicurezza e di forza. La riunificazione è uno dei suoi obiettivi a lungo termine. Sarebbe una consacrazione sia per il presidente Xi Jinping, sia per il Partito comunista cinese, ma un tentativo di ottenerla con la forza sarebbe molto costoso e potrebbe addirittura mettere a rischio la sopravvivenza dello stesso regime del Pcc, in caso di fallimento dell’operazione militare.
Come vive la popolazione
«Spero – osserva il missionario – che quanto sta accadendo oggi nei mari e sopra i cieli di Taiwan non sia un’operazione per coprire i guai interni alla Cina, fatto è che in Cina la faccia conta tanto e lo sbarco della Pelosi sull’isola deve aver irritato molto gli animi». Anche perché una visita di così alto livello costituisce a livello formale un riconoscimento di fatto della sovranità del Paese di cui si è ospiti. E questo non è assolutamente tollerabile per il colosso cinese.
Il missionario racconta come la popolazione sta vivendo queste ore di tensione, ma anche qui il quadro è complesso. «Gli anziani che venivano dalla Cina, ormai sono tutti morti. Loro desideravano tornare in Cina, perché avevano lasciato la famiglia e c’era questo richiamo alle parentele. I loro figli si sono inseriti a Taiwan, hanno costruito qui il loro futuro e hanno oggi sulla sessantina d’anni. I nipoti sono quasi tutti partiti all’estero. Taiwan è stato per loro un trampolino di lancio per andare in altri Paesi del mondo. In parrocchia ci sono dei giovani, ma chi ha superato la trentina è andato via».