Dall’ultimo Consiglio europeo indicazioni nella direzione di maggiore stabilità, crescita e occupazione per superare la crisi
di Gianni BORSA
Sir Europa
La stabilità «non è sufficiente, servono crescita e occupazione». Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, conclude a notte inoltrata il vertice del 30 gennaio ribadendo un concetto che dovrebbe apparire ovvio. Una frase che gli serve per spiegare a grandi linee che «il summit è stato un successo», ovvero che l’Europa ha ritrovato una intesa decisiva «per andare oltre la crisi» e porre le basi per il rilancio dell’economia reale e del lavoro. Questo almeno stando alla “dichiarazione” adottata al termine dell’incontro dei 27 Capi di Stato e di Governo tenutosi a Bruxelles, iniziato in un clima di forte tensione che nel corso delle trattative ha lasciato il posto all’accordo finale. Il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, ha infine sentenziato: «Abbiamo cercato un accordo per ritrovare la fiducia dei mercati e soprattutto quella dei cittadini».
L’Ue può dunque riprendere il cammino, che in questi ultimi tre anni si era arrestato per via della crisi finanziaria, della instabilità dei conti pubblici della gran parte dei paesi dell’Eurozona e anche di quelli che non adottano la moneta unica. Il tutto con pesanti ricadute sulla produzione, i commerci, l’occupazione, i consumi, i risparmi. L’Unione trova un’intesa politica (anche se il passo indietro sul fiscal compact di Regno Unito e Repubblica ceca mette in evidenza le differenti velocità in cui marcia l’integrazione), la quale prelude agli accordi “tecnici”.
Questi comprendono anzitutto la definizione del «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria», ovvero il testo ufficiale che dà vita al patto per la disciplina dei bilanci statali che in futuro dovranno mirare al pareggio; la firma del trattato intergovernativo è fissata al Consiglio europeo di inizio marzo e l’entrata in vigore dovrebbe avvenire a gennaio 2013 previa la ratifica di almeno 12 Stati dell’Eurozona.
Il secondo punto fermo riguarda il varo del fondo salva-Stati permanente (European Stability Mechanism), che diventerà operativo il prossimo luglio in sostituzione dell’attuale fondo transitorio (European Financial Stability Facility), la cui “potenza di fuoco” dovrà essere fissata sempre a marzo, scegliendo se restare sui 500 miliardi di euro finora ventilati oppure passare a 750, così da aumentarne la forza dissuasiva verso eventuali speculatori che dovessero prendere di mira la moneta unica.
Infine, ma non ultimo, viene sancito l’impegno comune a favorire la crescita, mediante misure, ancora da mettere “nero su bianco”, indirizzate soprattutto all’occupazione giovanile, a completare il mercato unico, a sostenere le piccole e medie imprese (per ragioni di ordine parlamentare, il primo ministro svedese non ha potuto per il momento porre la sua firma in calce a questo documento). Anche in tal caso c’è un rimando al summit di marzo per la stesura delle linee guida nazionali al fine di applicare tali principi alle realtà di ciascun Paese membro. Una nota a margine riguarda, in questo caso, il miglior utilizzo, o il “riorientamento”, dei fondi comunitari per la coesione, lo sviluppo territoriale, la formazione e l’istruzione.
Quasi a giustificare gli impegni sul fronte della crescita, è stato definito un preambolo che suona così: «Sono state assunte decisioni per assicurare la stabilità finanziaria e il risanamento di bilancio, condizione necessaria per tornare a un livello più elevato di crescita strutturale e occupazione. Ma la cosa non è in sé sufficiente: dobbiamo modernizzare le nostre economie e rafforzare la nostra competitività per assicurare una crescita sostenibile». Una scelta, quella del Consiglio europeo, «essenziale per creare posti di lavoro e preservare i nostri modelli sociali». Tali sforzi «devono essere compiuti in stretta cooperazione con le parti sociali, nel rispetto dei sistemi nazionali degli Stati membri». Crescita e occupazione, si legge in questo documento, «riprenderanno solo se seguiremo un approccio coerente e ampio, combinando un risanamento di bilancio intelligente che preservi l’investimento nella crescita futura, politiche macroeconomiche sane e una strategia attiva per l’occupazione che difenda la coesione sociale».
A ben vedere, il summit ha voluto sancire alcuni atteggiamenti virtuosi che ogni Paese dovrebbe normalmente perseguire, accostando conti pubblici sani e investimenti di medio-lungo periodo per favorire lo sviluppo dell’economia di mercato e il lavoro in un contesto di forte competizione internazionale. Ora si tratta di passare – come hanno ribadito praticamente tutti i leader – dalle parole ai fatti. Rimane comunque il risultato di una rinnovata – ma ancora fragile – intesa politica che, messa a dura prova dalla recessione e dal debito sovrano, è l’unica strada possibile per costruire l’Europa.