Donne con bambini piccolissimi in fila al centro Caritas per la distribuzione di pacchi con viveri e prodotti per l’igiene. La permanenza fuori dalla loro terra è destinata ad allungarsi
di Maria Chiara
Biagioni
Agensir
«No free places, all our centers are full». Julia Danishevska è ucraina, ma da 7 anni vive a Cracovia e oggi dirige uno dei centri Caritas della città polacca. Oggi è il giorno in cui i volontari distribuiscono i pacchi con viveri e prodotti per l’igiene. In fila, però, ci sono solo donne con bambini piccoli, anzi piccolissimi. Gli uomini scaricano i pacchi dai camion, ma sono polacchi. Le donne si stringono dentro i giacconi invernali e sotto il cappuccio delle felpe. È autunno, ma fa già freddo. I bimbi salutano, sorridono, vogliono fare amicizia, giocare. Una signora alza velocemente lo sguardo per riabbassarlo subito. È un attimo, il tempo per scorgere occhi stanchi, quasi spenti. I mesi lontano da casa cominciano a pesare. È il direttore di Caritas Cracovia, don Tomasz Stec, a spiegare la condizione anche psicologica in cui si trovano oggi i rifugiati ucraini: «È senza dubbio difficile. Stabilirsi in un’altra terra è per loro una vera e propria lotta che non possono gestire né finanziariamente né mentalmente da soli. La guerra ha causato un enorme trauma; per di più, sono stati separati dai loro cari. La maggior parte di loro ha dovuto lasciare le proprie famiglie alle spalle. Stiamo facendo del nostro meglio per aiutarli ad affrontare questa nuova situazione e adattarsi al nuovo ambiente qui in Polonia».
Sarà anche peggio
È chiaro che la situazione non migliorerà, almeno nel breve termine. Anzi. Qui a Cracovia, i volontari Caritas scommettono che andrà peggiorando. Le notizie che arrivano dall’Ucraina preoccupano. Gli attacchi sono sempre più diffusi su tutto il Paese. Gli allarmi aerei sono tutti i giorni con l’invito delle autorità a rimanere nei rifugi. È difficile in queste condizioni fare previsioni o dare numeri e statistiche. Ma una cosa è certa: «Nelle ultime settimane – dice Julia – le telefonate al nostro numero di emergenza sono aumentate e trovare un posto a chi chiede alloggio, sta diventando un problema».
Fin dall’inizio del conflitto, la scelta della Caritas è stata quella di dare accoglienza e ospitalità a tutti quelli che bussavano alle sue porte. Sono quindi stati attivati tre centri in cui vengono distribuiti gli aiuti umanitari (uno di questi si trova alla Stazione ferroviaria principale). Inoltre, la Caritas sta aiutando le persone a trovare un alloggio e solo nel mese di settembre, è riuscita a ospitare circa 300 persone avvalendosi anche delle case religiose e della rete delle parrocchie.
Mancano luce e gas
Ma non c’è solo la guerra a spingere le persone alla fuga. C’è anche l’inverno rigidissimo che sta arrivando in un Paese dove la popolazione sta già facendo i conti con la mancanza di energia ed elettricità e quindi di riscaldamento. Per molti poi che sono arrivati qui con la speranza di tornare presto indietro, c’è anche l’incognita di case completamente distrutte da ricostruire. Insomma, si parla già di una migrazione a lungo termine e anche da Cracovia, la via del ritorno in Ucraina appare ancora molto lunga. La Caritas si è attrezzata. Ha già avviato corsi di lingua polacca, dividendo le classi a seconda dell’età. E se i bambini hanno già iniziato la scuola, integrandosi con i bambini polacchi, spesso i teenager e i ragazzi più grandi preferiscono seguire le lezioni online dall’Ucraina.
Duecentomila rifugiati
Su una popolazione di 700 mila abitanti, la città di Cracovia ha accolto 200 mila rifugiati ucraini. Gli affitti delle case sono lievitati e l’emergenza alloggio rimane purtroppo ancora alta. Nei centri Caritas, le persone sono invitate a riempire un modulo dove vengono chieste soprattutto le necessità. Sono per lo più mamme con bambini, donne e famiglie rimaste senza soldi. Alcuni, per la fretta di fuggire, sono addirittura arrivati senza scarpe. Tantissimi i racconti di vita che dall’Ucraina in guerra, si sono intrecciati con quelli degli operatori umanitari polacchi. Julia racconta la storia di una famiglia di Mariupol, rimasta nei sotterranei di un rifugio per più di un mese. Poi l’arrivo dei russi e la lunghissima strada per arrivare in Polonia, passando da Mosca, San Pietroburgo, la Lituania: «Hanno addirittura bevuto l’acqua che trovavano nei termosifoni. La prima domanda che fanno, è: da dove ricominciamo?».
Umanità immensa
La famiglia di Mariupol, grazie alla Caritas di Southwark (Londra), è riuscita ad andare in Inghilterra dove i genitori hanno trovato un lavoro e i bimbi stanno andando a scuola. «Anche noi operatori siamo stanchi – ammette Julia -. Ma appena ti accorgi che queste persone hanno davvero bisogno di tutto, il loro grido di aiuto ti riempie di energia». «Da un lato – aggiunge don Stec -, ho assistito a un’immensa povertà e sofferenza umana, ma, dall’altro, a un massiccio aiuto umanitario e a una grande empatia. Ancora una volta nella mia vita, ho sperimentato che il bene è più forte del male».
Quale messaggio vorreste far arrivare agli italiani? È il direttore Caritas a rispondere: «“Non dobbiamo abituarci e rimanere indifferenti a questa situazione. Non importa se qualcuno apprezza o meno quanto facciamo; non importa se qualcuno lo meriti o no… la nostra vocazione è testimoniare attraverso atti di misericordia. E la Misericordia è il nome di Dio».